Regia di Han Yan vedi scheda film
La fine arriva spesso inattesa e sgradita. Saperle andare incontro è un'arte. Che può avere i colori vivaci di un fumetto. E l'allegria di un gioco da bambini.
Xiong Dun aveva 29 anni. E a quell’età pensava di poter fare qualcosa di straordinario, che avrebbe scosso il mondo. Di avere qualche idea geniale e rivoluzionaria, come Steve Jobs, ad esempio. La sua arte era disegnare fumetti. Aveva un tratto infantile, insieme morbido e ribelle, sognante e lucidissimo. Questo film utilizza gli eccessi metaforici del cartoon per sottolineare i momenti difficili, in cui la realtà sembra rivoltarsi, non voler stare al suo posto, avere un attacco di grottesca follia. Sono le iperboli dell’incubo di una bambina, intinto nell’allegoria adulta che dipinge le emozioni sfrenate nei colori forti dell’allucinazione adrenalinica. Questa autobiografia si presenta subito come una favola adolescenziale drogata dalla voglia di prendere a pugni la sfortuna, la solitudine, l’ingiustizia che si accanisce contro gli innocenti, contro chi non ne può nulla, contro chi non ha ancora vissuto abbastanza a lungo per capire. Xiong è una ragazza che sa declinare la sua rabbia con l’ingenuità senza compromessi che partorisce mostri mentali, videogiochi crudeli, clip violente. E intanto gioisce e sorride. La fantasia la accompagna, dentro l’anima, come un fiore. Ha la potenza di una luce interiore che stende su ogni cosa le tinte vivide e uniformi di un pennarello, per mostrare che di tutto si può fare un quadro, immaginando che il significato sia un altro, non quello letterale scritto negli eventi, bensì quello che traduce i desideri in romantiche illusioni. Il personaggio è veramente esistito, ed altrettanto vera è la storia della sua malattia, della sua fine, del dolore a cui non ha mai concesso il diritto di rubarle la scena. Xiong ha voluto restare allegra e goffa come un pupazzo, anche di fronte ai sentimenti importanti, anche in presenza di un grande male, di una sfida impossibile da vincere.
Si è innamorata del suo dottore, senza speranza, e, soprattutto, senza vergogna. La dissimulazione è l’unica forma di bugia che non le è mai piaciuta. Per il resto, ha saputo fare dello scherzo un gioco contagioso, capace di trascinare chi le sta vicino nel gusto di far finta che ogni occasione sia buona per avere pensieri positivi, magari conditi dalla giusta dose di malizia. Questo sarebbe il tipico racconto di carta velina, fresco, arioso e pieno di leggerezza femminile, se l’argomento non fosse così drammaticamente serio, netto e inequivocabile nella sua gravità, così intimamente imparentato con la tristezza. Eppure c’è un vento giovane che continua a soffiare, anche nelle corsie dell’ospedale, anche in mezzo all’amarezza del tempo che sfugge di mano; viene a scompigliare le trame del senso di sconfitta, spettinando le finte chiome della chemio, facendo e disfacendo i gomitoli di lana che non riescono a diventare maglioni. Quello di Xiong è un futuro mancante che è bello ricordare. Se non altro, perché ha trasformato la sua assenza in uno dei casi buffi della vita, in cui si guarda oltre e non si vede niente, eppure si continua a parlare di ciò che non esiste, come per prendere in giro un amante scappato via, un amico traditore, un ospite scortese e ingrato. Dinnanzi al più colossale dei paradossi, la commedia dell’assurdo ha preso una piega dolce. E si adagia, carezzevole, sullo scomodo giaciglio che le ha preparato il destino.
Go Away, Mr Tumor è stato selezionato per rappresentare la Cina agli Academy Awards 2016.
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