Regia di Yilmaz Güney, Serif Gören vedi scheda film
Il cammino percorso dai cinque detenuti in licenza protagonisti di “Yol” che significa appunto strada, cammino o più metaforicamente tragitto è l’occasione per Guney di tratteggiare un quadro sociale oltre che paesaggistico del suo misconosciuto paese, una realtà che ha origine nel nostro continente ma si protende con le sue difficoltà e le sue arcaiche usanze verso il medio oriente, verso l’Asia e la sua vastità territoriale e culturale.
Il viaggio parte dall’isola di Imrali e il suo carcere che ci viene appena descritto è lontano anni luce dalla raffigurazione caotica e rumorosa data da Alan Parker in “Midnight Express” ma è pur sempre un luogo angusto che tiene distanti mariti e mogli, padri e figli, proprio il bisogno e l’entusiasmo di poter riassaporare tali affetti rivitalizza il folto gruppo di carcerati che hanno letto nella bacheca i loro nomi, gli saranno concessi otto giorni di libertà con permesso di accompagno alla fine dei quali ricomincerà la prigionia, Guney usa la pellicola come fosse una mappa in cui traccia una linea di collegamento fra le città nominate nelle didascalie con istantanee allegate essenziali per comprendere come la Turchia del 1981 fosse una nazione legata ad antiche e ferree regole, vasta e diseguale dove potevi ritrovarti in un villaggio poverissimo come Diyarbakir, pieno di bambini di nemmeno cinque anni che per passare il tempo fumano come turchi o in una città come Gaziantep più aderente al termine e simile a quelle occidentali con traffico canalizzato, negozi di scarpe all’ultima moda, ristoranti e bordelli ma la conformazione morfologica della Turchia è anche caratterizzata da insediamenti minuscoli nel distretto di Urfa composti da un pugno di baracche circondate dalle praterie estese fino al Kurdistan o altri come Konya a ridosso di steppe gelide ricoperte da un bianco manto di neve.
La prima parte in cui i detenuti cambiano diversi mezzi di trasporto è un racconto corale dove i protagonisti messi a stretto contatto narrano le loro storie ed enunciano le loro destinazioni in un tono disteso di euforia e perplessità che decadrà nel momento in cui ognuno prenderà la propria strada e dovrà affrontare ciò che la loro assenza ha causato nelle vite dei propri cari: un beffardo scherzo del destino costringerà il piccolo e simpatico Yusuf ha soffocare tutto l’entusiasmo esternato nel momento in cui aveva visto il suo nome inserito nella lista dei licenziati ma a conti fatti la sua disavventura morta sul nascere non sarà peggiore rispetto a quella di almeno altri suoi due compagni di avventura, Mehmet in forte contrasto con i suoceri e la sua famiglia acquisita perché tacciato di vigliaccheria per aver abbandonato il fratello di sua moglie durante una rapina in cui era stato coinvolto con l’inganno vive la storia più drammatica del film che tocca le corde della commozione profonda quando in fuga con la compagna e i due piccoli figli viene quasi linciato dalla folla indignata perché si è rinchiuso con la moglie nel gabinetto di un treno spinto dall’umano desiderio di possederla dopo tanti anni di carcere, i controllori che hanno salvato la coppia dalla gente inferocita non vogliono sentire ragioni sul fatto di fargliela passare liscia e non consegnarli alle autorità perché le regole vanno rispettate in Turchia ma questa ipotesi si rivelerà ottimistica visto ciò che accadrà in seguito, Seyt invece deve raggiungere un piccolo insediamento immerso nella neve dove vivono il figlio e la moglie che ha disonorato la famiglia essendosi prostituita, la ritroverà denutrita e segregata dopo aver affrontato una steppa gelida popolata da lupi famelici nascosti nella nebbia, il viaggio di ritorno del terzetto è un po’ il simbolo del film con l’immagine di Seyt che raccoglie sulle sue spalle Ziné quasi congelata dal freddo che li circonda rinunciando al diritto di ucciderla o lasciarla morire per il tradimento subito, in controtendenza è invece la storia di Mevlut in cui l’aspetto sentimentale è meno marcato e quello drammatico assente tanto che dopo aver dettato le leggi che regoleranno il rapporto con la sua futura sposa una volta tornato dal carcere si concede una meritata scopata nel bordello più affollato della nazione dove esclude a priori di andare con la prostituta n°4 perché è il numero della sua cella, l’ultimo racconto è il più complesso a livello contenutistico, l’avventura di Omer che rientrato nel suo villaggio ai confini con la Syria assiste alle continue sparatorie fra contrabbandieri ed esercito regolare è l’occasione per Guney di mostrare una delle regioni più belle della Turchia con le sue praterie battute da cavalieri liberi e selvaggi ma anche una delle più contrastate a livello politico con gli incessanti spari che infestano il sonno notturno, l’esercito regolare consegna le sue vittime ogni mattina stese come animali macellati su un carro, sarà questo il motivo che spingerà Omer a prendere una decisione radicale e tirare definitivamente le redini della sua vita in contrasto totale con la rassegnazione finale di Seyt che prima di rpartire per il carcere consegna i pochi soldi rimasti al figlio.
“Yol” è considerato il capolavoro del cinema turco dagli intenditori, denso di immagini suggestive e toccanti ha un effetto straniante per noi che viviamo una cultura così emancipata a livello sessuale, sicuramente dopo trenta anni le relazioni fra i due sessi si saranno modernizzate anche in Turchia ma non escludo che in certe aree la figura femminile sia ancora completamente soggiogata ed assoggettata da quella maschile e questo aspetto è espresso in maniera più o meno marcata in ognuna delle cinque storie anche perché il motivo scatenante che spinge i protagonisti ad affrontare un viaggio così faticoso ed aspro con rischi annessi è proprio legato al desiderio di non rinunciare alla propria compagna indipendentemente dalla problematica che in apparenza dovrebbe essere causa di separazione: Yusuf si prende cura del suo canarino per consegnarlo a sua moglie durante la licenza perché lei lo sta comunque aspettando nonostante si sia macchiato del reato di omicidio, Mehmet rischia la vita tornando a casa dalla moglie visto che alcuni suoi affini non avrebbero scrupoli ad ucciderlo, ciò nonostante la porta via con se insieme con i bambini, Seyt avrebbe il diritto di uccidere Zinè che lo ha disonorato e tradito ma il sentimento per la donna e la speranza di ricreare una armonia famigliare perduta è più forte dell’onta subita, Mevlut torna a Gaziantep per informare la sua promessa sposa che nonostante gli anni di carcere passati e quelli ancora da scontare il sentimento nei suoi confronti è sempre vivo mentre Omer è l’unico libero da legami ma al villaggio natale è tornato anche per rivedere la donna che da tempo ha scelto come sua compagna purtroppo per lui antiche leggi ereditarie lo obbligheranno ad occuparsi di una novella vedova a causa dell’esercito che gli ha ucciso il marito contrabbandiere e la donna senza batter ciglio acconsente.
I retroscena del film sono leggendari visto che Guney scrisse la sceneggiatura in carcere con dettagliate indicazioni per il suo collaboratore Serif Goren che lo girò con grande passione per poi consegnare il materiale a Guney che lo montò durante un periodo di latitanza in Svizzera, il risultato ottenuto fu così eclatante da meritare senza discussioni la Palma d’oro a Cannes ex equo con “Missing” di Costa Gavras.
La versione in lingua originale sottotitolata in inglese che circola in rete è di ottima qualità.
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