Regia di Yilmaz Güney, Serif Gören vedi scheda film
Nel carcere governativo dell'isola turca di Imrali, cinque detenuti ottengono una licenza di otto giorni. Possono cosi recarsi dalle loro famiglie, ognuno con dei conti da dover regolare. Il più giovane dei cinque (Semra Uçar) perde i documenti e non può continuare il viaggio, Molvut (Hikmet Çelik) deve organizzare il suo matrimonio ma è oppresso dall'onnipresenza dei familiari, Omer (Necmettin Çobanoglu) decide di sposare la causa dell'indipendenza del Kurdistan e si aggrega ai compagni che combattono sulle montagne, Seyt (Tarik Akan) dovrà punire la moglie che in sua assenza lo ha tradito compromettendo per sempre la sua onorabilità e quella della famiglia di lei e Mehemet (Halil Hergün) dovrà affrontare l'odio dei familiari della moglie perchè accusato di essere stato la causa della morte del fratello.
É il linguaggio limpido e pervaso di realismo nonchè un rispetto pudico nel trattare le vite di questi uomini pedinati dalla macchina da presa a darci la misura dello spessore artistico di questo film, a conferirgli quella caratteristica di grande affresco storico che mantiene intatto il suo fascino anche a quasi trent'anni di distanza. Seguendo le orme degli uomini il film diventa un viaggio attraverso la condizione politica e sociale della Turchia, dentro l'endemica contraddizione di un paese che guardava all'occidente ma rimaneva prigioniero delle sue ataviche usanze. "Il regista di questo film è stato condannato dai tribunali turchi a più di cento anni di prigione per delitti di opinioni". Questo recita la didascalia che anticipa i titoli di coda.Guney era in carcere quando scrisse la sceneggiatura del filmche fu girato dal suo assistente Serif Goran e montato da lui stesso quando, dopo una rocambolesca evasione, riusci a raggiungere la Svizzera. E' un film manifesto "Yol" (che in turco significa strada) che nelle intenzioni di Guney doveva servire a far conoscere la realtà turca in tutta la sua multiforme complessità, l'arretratezza del suo regime militare, la condizione delle donne, la questione curda (la prima volta portata sullo schermo) a un mondo miope e interessato solo alle "grandi" storie. Di acqua ne è passata sotto i ponti e la Turchia ha di certo mitigato la portata fondamentalista della sua teocrazia ma è indubbio che oggi come ieri questo paese viene guardato con crescendo interesse più per la sua particolare posizione geopolitica (un paese islamico nel cuore dell'occidente) che valutato per la effettiva maturità in senso democratico del suo sistema politico e sociale. Il rischio è sempre quello di sacrificare sull'altare dei grandi interessi economici una miriade uomini persi nelle pieghe di storie mai raccontate, di condizioni socio economiche mai risolte, di mettere in bella mostra i gioielli di famiglia dimendicandosi delle sacche di arretratezza sparse in ogni dove in giro per il mondo, che si trovano nelle retrovie, che resistono all'usura del tempo e sono tanto sorde all'evoluzione dei diritti in tema di rispetto della dignità umana quanto foriere di gravi offese per gli stessi. Considero "Yol" un capolavoro sia per i suoi contenuti estetici e formali, sia perchè appartiene a quella categoria di film che hanno il particolare pregio di rappresentare sempre dei momenti di riflessione sulla condizione umana, fosse solo perchè servono a ricordarci che oltre la storia ufficiale c'è molto altro che merita di essere conosciuto. E mi piace pensare di aver dato un seppur piccolo contributo alla diffusione di questo film straordinario.
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