Regia di David Leitch vedi scheda film
Esplosiva.
Il corpo iconico dell'ultra-dea Charlize Theron deflagra nel cuore atomico del film di cui ne riempie ogni spazio, luce, dimensione, materia (anche quando non è fisicamente presente, of course), come linfa vitale che si espande in ogni direzione e arteria.
Roba che scotta: pericolosissima, letale, d'una eterea biondezza soprannaturale eppure naturalissima, eternamente impeccabilmente bellissima, in qualsiasi situazione (alla prima entrata in scena, emerge nuda, ricoperta di ematomi e ferite, da una vasca di acqua e ghiaccio: ma la “disegneranno”, così?!?), Lorraine, la spia che venne dalle foschie londinesi, è catapultata nei tempestosi, caotici giorni che precedono la caduta del Muro di Berlino.
L'idea – alla base del graphic novel (sì, avrebbero voluto, disegnarla così …) The Coldest City – è vincente. Un trionfo, a dirla tutta.
Su un articolato intreccio spy-thriller alla le Carré – nel ventre informe della Guerra Fredda, si scatenano torbide vicende di agenti uccisi, doppiogiochisti (almeno …), traditori e venduti, inestimabili elenchi di spie trafugati, capitalisti e comunisti, trastulli politici e atti criminosi – detona con furore un magnifico senso per l'action che, se da un lato fa sua una ricercata stilizzazione pop (e post-pop), derivante dall'origine fumettosa (emblematiche le didascalie-“graffiti”, dei tempi ricostruiti e del mood), dall'altro si sublima meravigliosamente in un'insistita, filologica elaborazione “analogica”.
Una goduriosa violenza grafica che parla attraverso volti tumefatti, copiosi fiotti di sangue, colpi su colpi assestati senza tante cerimonie, pallottole che si conficcano in teste con rigorosa strafottenza, una serie incredibile di lucidi e crudissimi stunt “dal vivo” (eseguiti anche dalla stessa complice protagonista, nonché produttrice): il lavoro è impressionante, e si nota.
I corpo a corpo – scarnificati e pesanti, credibili come quelli di Jason Bourne, ma meno concitati e retorici – assurgono così a fisica della sostanza filmica: rispettano le logiche del racconto (insomma non lo prevaricano né lo affogano in uno tsunami di enfasi e parossismo semplicistico), hanno tempi e dinamiche sempre corretti, spettacolarizzano la visione quando serve, senza cannibalizzare il resto, persino catalizzano portato teorico e componente “meta” (il combattimento all'interno del cinema ad Alexanderplatz dove stanno proiettando Stalker di Tarkovskij: davanti e dietro lo schermo, squarciato).
Il regista David Leitch – già co-responsabile del primo John Wick – dirige splendidamente; non solo, vista la sua carriera di stuntman e regista di seconde unità, struttura sequenze ad alto tasso di spettacolarità, fuor di CGI (l'estenuante lotta all'interno di un palazzo nella Berlino Est tra Charlize/Lorraine e un manipolo di cazzuti sovietici, l'inseguimento in auto) e si avvale di una ricostruzione ambientale e storica esemplare, ma sa gestire altresì benissimo tempi e ritmo, in un'organizzazione oculata della scansione narrativa che non è mera impaginazione del materiale bensì ragionata messa in opera. E con un'estetica che, sebbene non esente dall'essere derivativa, sottintende una ricerca formale riuscita e un connubio felice con gli elementi di testo e sonoro.
Che è un'altra eccezionale intuizione: allo score originale del fantastico Tyler Bates si aggiungono – con precisissimo timing – veri e propri manifesti d'epoca, dai New Order ai Depeche Mode, da David Bowie ai Queen ai Clash. Una soundtrack da urlo.
Oltretutto concedendosi (e concedendoci) dosi a elevata infiammabilità erotica: se la ripresa del già famoso atto lesbico tra la Theron e Sofia Boutella (un'ingenua, malcapitata agente francese) è tutto sommato di facile presa/filmabilità (e, purtroppo, di breve durata), e i continui, sofisticati dettagli feticisti (tacchi, calze, ciocche di capelli, gonne, intimo, accessori) un attentato scorretto alla concentrazione, Charlize nuda inquadrata di spalle sulle mitologiche note di Cat People dell'immortale David Bowie è sublime Arte impressionista.
Poesia visiva. Incendiaria.
[ See these eyes so green / I can stare for a thousand years / Colder than the moon / It's benn so long / And I've benne putting out fire / With gasoline … ]
Perché, inappuntabile gestione del nucleo attoriale a parte (reclutare grandiosi attori inglesi è sempre una scelta azzeccata: da Eddie Marsan agente della Stasi pronto a fare il “salto” al dirigente dell'MI6 Toby Jones, più John Goodman ma anche Bill Skarsgård fa la sua figura) – nel quale il sempre ottimo James McAvoy caratterizza al meglio un personaggio borderline – il senso totale e totalizzante di Atomic Blonde (sorvolare sulla puerile titolazione italica che peraltro non tiene conto della ovvia citazione) risiede nel – modo in cui è rappresentato/enunciato/modellato il – corpo di Charlize Theron, illegale presenza atomica trascesa a dispositivo filmico cosmico.
Clonatela. Anzi, no. Fatela Presidente dell'Universo, noto e non, Ras delle Terre Emerse, Amministratrice del mio Condominio ...
Dopo Furiosa, un'altra figura memorabile.
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