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Lights Out: Terrore nel buio

Regia di David F. Sandberg vedi scheda film

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La recensione su Lights Out: Terrore nel buio

di nickoftime
7 stelle
Si sa che il cinema horror è allergico alle mezze misure  e che non si tira indietro  davanti a nulla pur di per rendere i suoi prodotti il più spaventevoli possibili. È'altrettanto vero però che, se sgomberiamo il campo dalle mode del momento e dagli interessi dei grandi poli mediatici capaci di esaltare le virtù di capii d'opera che si rivelano  castelli di sabbia,  a fare la differenza nella categoria in argomento  sono stati i lavori di tutto quei registi avvezzi alla materia e quindi in grado di sottrarre le manifestazioni del male all'evidenza del visibile e del Grand Guignol, di volta in volta  sostituiti da rappresentazioni che lavorando sull'inconscio dello spettatore hanno preferito forme di spettacolarizzazione meno conclamate ed immagini in grado di esprimere le radici del disagio andandole a cercare non tanto negli effetti delle sue conseguenze quanto nelle sensazioni e negli stati emotivi che le precedono. 
 
A questo prototipo di lungometraggio appartiene in parte  il film di David F. Sandberg "Lights Out"  le cui fortune, almeno in termini di promozionali devono molto al nome di James Wan, il nuovo guru del terrore (“Insidious", “The Conjuring”) che qui figura in veste di produttore. La sua trama per tornare al discorso iniziale pur nella convenzionalità dell'intreccio modulato  sul percorso salvifico di una famiglia in pericolo a causa delle presenza di una misteriosa entità  è attraversata da una  costante mancanza di illuminazione (naturale ma soprattutto artificiale per l'ambientazione completamente in interni) che  per i protagonisti della storia diventa sinonimo di vita  dopo aver appreso che la minaccia di cui sono oggetto si manifesta ogni volta che la luce lascia spazio all'oscurità. Se il buio come condizione che genera mostri e' una metafora che la settima arte ha utilizzato ad ampio raggio, spaziando  da un cult della fantascienza contemporanea come "Pitch Black"  ad un must dell'horror quale “Nightmare”, l'esordio di Sandberg riporta il tutto a una quotidianità ancora più spinta di altre occasioni  innescando il processo narrativo dal semplice spegnimento di un interruttore casalingo o per il malfunzionamento di lampadine e impianti elettrici.In questo modo  la normalità del gesto unità alla mortalità delle sue conseguenze diventano l'inizio e la fine di ogni sequenza dando vita a uno scontro tra bene e male e quindi tra luce e buio che il regista, riesce a portare con abilità dalle parti di certo cinema d'azione quando, dopo aver rivelato ai personaggi fattezze e scopi del cattivo di turno, concepisce la narrazione come il campo d'azione per un confronto fisico che per certi versi ricorda le produzioni della Marvel.
 
Ad evitare l'appiattimento verso le derive più spicce del modello chiamato in causa (sempre più occupato da tediose esibizioni di potenza) viene in nostro aiuto la messinscena di Sandberg che, memore della lezione del celebre  mentore riesce ad inquietare con un'occupazione dello spazio scenico d matrice teatrale e la cui efficacia in questo contesto deriva dal contrasto tra l ordinarietà' dell'ambiente domestico - filmato da Sandberg senza eccessi di stilizzazione ( riprese frontali con abbondanza di campi medi e piano americano) e la latenza di tensione e di disagio provocate dall'azione dei corpi degli attori, pronti a farci credere che gli interni di una casa o le pareti di una camera da letto possano trasformarsi in collettori di atroci mostruosità. Debitore di molto cinema di Wes Craven  (dal primo Nighmare a "Shocker") "Lights Out" per ciò che abbiamo detto e per la pulizia dell'esposizione narrativa che non conosce ellissi ed omissioni - rimpiazzate  da flashback che un poco alla volta ricostruiscono le cause della maledizione che pende sulle vite dei protagonisti - si avvicina di più a un  prodotto di consumo come "The  Conjuring"  che a pezzi d'autore quali sono stati nello stesso genere "It Follows" e "The Witch"; con la costante di avere, alla pari degli altri, un gusto del brivido che non fa perdere un minuto di quanto accade sullo schermo e che, seppure in maniera meno radicale rispetto  ai  lungometraggi di Mitchell ed Eggers, lascia all'immaginazione di chi guarda il compito di completare i contorni che definiscono la sfera del maligno.Se poi fossero confermate le notizie provenienti dal botteghino americano dove a fronte degli appena quattro milioni di spesa  il film  ne avrebbe guadagnati la bellezza di  65 non è sbagliato pronosticare che le vicende di "Lights Out" sono lungi dall’essersi conclusi.
pubblicato su ondacinema.it
 
 
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