Regia di David Frankel vedi scheda film
Ricatto collaterale.
Invero primario, sostanziale, multiplo: una catena di ricatti che, come le tessere del domino che Howard/Will Smith tanto ama (facile capire perché: un'altra facile scorciatoia), appena messe in moto provocano l'infausta prevedibilissima cascata di untuoso sentimentalismo manipolatorio.
Non se ne esce (vivi): il film - un fiume in piena di ferite dell'animo e tormenti interiori sempre e maldestramente detti, mostrati, spiegati, (ri)costruiti - investe e non lascia scampo alcuno.
Dal dramma che colpisce il protagonista - ha perso tre anni prima l'adorata figlia seienne - alle questioni "collaterali" degli incasinati amici-colleghi, la nenia tuonata dal regista David Frankel suona sempre le stesse furbissime note grondanti spietata stucchevolezza.
Artificiosità in forma di "geniale", ambiziosa, onnivora rappresentazione di quelle che per il protagonista sono le fondamentali 'astrazioni' dell'umana natura: ovvero Tempo, Amore, Morte.
Una lettura tricromica ipersatura che sfocia nella blasfemia nel proporsi come misto (bollito) tra Angoscia (Gaslight ... anche citato) e il Canto di Natale.
E dal quale scaturiscono i toni carichi, l'atmosfera enfatica (New York, periodo natalizio: serve altro?), la superficie opportunamente rigonfia (ma che sotto cela il nulla), che fagocita ogni aspetto e dinamica di testo e personaggi sotterrandoli sotto spessi strati di autoreferenzialità, ultradidascalismo, affettazione: la disaffezione dal corpo e dalle nervature del racconto copula ineluttabilmente con la programmatica, famelica ricerca dell'effetto emozionale, del profluvio di umori lacrimali, del gra(da)sso colpo di coda.
Fino all'incredibile, irricevibile doppio twist posto in conclusione, ridicolo e rozzo ogni oltre dire (che bisogno c'era, sul serio??), capace di tumulare irreversibilmente e all'istante qualsiasi qualità residuale (come l'attenzione ai comprimari, sebbene disomogenea e indecisa), nonché le illustri presenze attoriali. Ma che ben rappresenta la fallacità e le infime mire di uno script assurdamente pretenzionso.
Collateral Beauty è un film completamente sballato, privo di bellezza che non sia roba posticcia e superficiale, che si contenta di appoggiarsi a un Will Smith con occhi lucidi e sguardo digrignante d'ordinanza, attorno al quale ruotano - annoiati satelliti in perpetuo moto di riverenza - colossi del calibro di Helen Mirren, Edward Norton, Kate Winslet, Keira Knightley, Michael Peña. Supercast inutile e ingiustificato.
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