Regia di Andrea De Sica vedi scheda film
Giulio (Vincenzo Crea) viene inviato dalla madre vedova in un esclusivo collegio in montagna dove, appena arrivato, subisce le canoniche punizioni riservate alle matricole e stringe amicizia con il ribelle Edoardo (Ludovico Succio), col quale inizierà a scappare furtivamente di notte dalla severa struttura, videosorvegliata dagli educatori, tra cui c'è Mathias (Fabrizio Rongione), e recarsi in un Night Club; qui stringerà un rapporto in cui si sentirà molto coinvolto emotivamente con la giovane prostituta straniera Elena (Yuliia Sobol), mentre percorrendo le stanze dei piani più elevati del collegio, l'amico Edoardo inizierà a dare segni di instabilità mentale. La situazione ben presto degenera sotto tutti i punti di vista.
'I figli della notte' è il pretenzioso esordio - dopo tre corti e due documentari - di Andrea De Sica (figlio del compositore Manuel e nipote del grandissimo Vittorio, regista e attore di fama mondiali) nel lungometraggio: esso narra una storia già raccontata più e più volte tanto da creare un vero e proprio sottogenere, quello dei film ambientati in collegi, tentando la via del racconto favolistico - coi suoi tipici elementi, come la notte, il bosco - e del romanzo di formazione, per sconfinare infine nel thriller e nel soprannaturale, con una regia molto stilizzata (lunghi e lenti carrelli avanti, inquadrature frontali) e citazionista, che attinge a piene mani da Kubrick ('Shining' per le riprese dei corridoi del collegio che rimandano alle stanze dell'Overlook Hotel, 'Full Metal Jacket' sia per l'organizzazione pseudo militare della scuola, avente il compito di trasformare dei ragazzi nella futura classe dirigente, mentre la prima parte del film dell'87 illustrava la trasformazione di reclute in macchine per uccidere sia per la scena del battesimo dei novizi che ricorda il pestaggio notturno di Palla di lardo) Argento ('Suspiria' per gli inquietanti frontali dell'elegante e austero palazzo) senza dimenticare il classico di Lindsay Anderson 'Se...' e 'L'attimo fuggente', con in comune il suicidio dell'amico del protagonista.
La carne al fuoco è un po' troppa e il film, che comunque mantiene un buon ritmo e una tensione costante per la sua (breve) durata, soffre di squilibri tra le sue tante anime e soprattutto di un banale sviluppo nella trama e di una delineazione psicologica affidata a dei cliché nei caratteri principali, come i due ragazzi, opposti nelle loro personalità, con il primo che viene soggiogato dal secondo ma che poi prende il sopravvento, o la prostituta che, come spesso capita in tanto cinema italiano recente, è sempre proveniente dall'Est Europa o il tenutario del bordello, dall'aspetto sinistro e diabolico.
Credibili gli sconosciuti ragazzi attori, mentre il dardenniano Fabrizio Rongione, in parte per la debolezza del suo ruolo e in parte per l'uso incerto della lingua italiana, appare spaesato.
Buona la fotografia (Stefano Falivene), che passa con disinvoltura dagli abbaglianti bianchi della luce del giorno alle favolistiche riprese del bosco di notte, mentre le musiche si alternano tra scelte felici (il brano cantato da Pavarotti) ad altre diametralmente opposte, che stonano con le immagini mostrate.
Voto: 5.
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