Regia di Andrea De Sica vedi scheda film
Il pessimismo di un esordiente racchiuso in un un'opera intima, che vive di richiami citazionisti senza perdere la propria forza endogena.
Giulio - ragazzo altolocato - viene persuaso dalla madre a frequentare un collegio iper-esclusivo, una cupa struttura che si erge tra le Alpi. Qui, Giulio si lega ad Edoardo, fragile lucignolo che lo conduce sul binario della trasgressione. L'offerta formativa dell'istituto - sono gli alunni più curiosi ad intuirlo - prevede una rigida educazione volta a temprare "la classe dirigente del futuro" e, parallelamente, l'offerta dello sfogo delle pulsioni e il richiamo al proibito. Questa ambigua forma di insegnamento viene assorbita precocemente dai due protagonisti, i quali non tardano a varcare in segreto i confini del collegio per scoprire l'esistenza di un luogo ammantato dal vizio. Ma l'odore del pericolo si fa sempre più intenso e i due rampolli andranno incontro ad una sorte irreversibile...
Audace, nerissima opera prima del giovane De Sica. Stilizzando i clichés della storia di formazione, il regista compone un mosaico irrisolto e affascinante: all'interno della vicenda - strutturata come un algido teorema pasoliniano - pulsa un'anima feroce, un'essenza nichilista in grado di sconvolgere e ammaliare.
Attraverso immagini ossessive e geometrizzanti, De Sica ci proietta all'interno di un laboratorio di sperimentazione sociale, descrivendoci gli effetti delle cavie recluse in gabbia e invitandoci a risolvere un enigma perverso; la narrazione scorre lenta e aspra in un gioco di atmosfere che da torbide possono volgersi in glaciali e viceversa, circoscrivendo un campo semantico che spazia dalle eco sensuali di Lynch alle visioni asettiche di Kubrick. Il calore della dannazione si intreccia con l'inverno dei sentimenti, denudando le reazioni umane.
Ed è questo sonno della morale che spaventa, seduce e corrompe: è troppo tardi quando ci si rende conto che I figli della notte è un racconto distopico, una favola crepuscolare senza via d'uscita. La redenzione sfuma in miraggio e lo spettatore - fruitore di un macabro privilegio - osserva la discesa dei protagonisti nel buio della coscienza. In completa antitesi a pellicole come L'attimo fuggente o Il club degli imperatori - dove la formazione dell'individuo trovava compimento nell'atto creativo, nel gesto poetico - il film di De Sica sceglie la via sottile del thriller/noir, avvicinandosi ad opere più controverse quali L'onda o Paranoid Park: nella freddezza della messa in scena si percepisce l'influenza dell'arte filmica tedesca, nei primi piani e tra gli sguardi velati aleggia lo spettro del cinema di Gus Van Sant.
Escludendo gli adulti in maniera categorica, De Sica ritaglia un mondo adolescienziale scabroso e atavico del tutto simile a quello ritratto ne Il signore delle mosche di W.Golding; il regista indugia sulle conseguenze terribili che derivano dall'isolamento, dall'abbandono a sè stessi in un habitat ostile.
Spiazzante resta la svolta conclusiva, che delinea una tesi allegorica e spietata: il film rivela la sua natura classista nel fotografare la nascita di autentici mostri della società, nel dipingere - tra beffa e sgomento - il trionfo del male.
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