Regia di J. Lee Thompson vedi scheda film
Cape Fear, come i grandi lungometraggi espressionisti, torna a stanare il terrore, l'ossessione, l'azione folle e la passionalità, nei luoghi e nei rapporti sociali in cui si annidano.
Cape Fear, come i grandi lungometraggi espressionisti, torna a stanare il terrore, l'ossessione, l'azione folle e la passionalità, nei luoghi e nei rapporti sociali in cui si annidano. Si prova paura individualmente, ma quando una minaccia s'insinua nella società, questa viene amplificata, semplicemente perchè il singolo ha meno da perdere, e il potere di organizzarsi in proprio. Il background di Peck e famiglia è l'ideale vittima, con le sue abitudini, la sua tranquillità, la sua morale solida e grave. Mitchum è, al lato opposto, un demonio ideale, reso forte e calcolatore dall'odio: le vie legali sono impraticabili, e ben presto anche i piccoli sotterfugi tra amici, la sorveglianza sotto pagamento o pubblica. Per vincere bisogna sporcarsi le mani, architettare una trappola, usare i propri familiari come esche. Le luci taglienti, i tagli di montaggio, il physique du role del cattivo, gli ambienti lugubri deviano il thriller verso l'horror. Il soggetto è oltremodo morboso e crudele: non si fanno sconti agli animali (in genere eletti eroi nel cinema occidentale) e si punta dritti verso la violenza sulle donne (a ogni livello) e la pedofilia. Scorsese deve aver capito le potenzialità del progetto, e lo ha portato ai suoi limiti, parlando anche dei guasti della famiglia borghese, nonchè dell'attrazione verso l'ignoto o la cattiveria. Nel remake De Niro diventa figura super-umana, e il finale ricorda Halloween. Qui il sapore tragico rammenta gli ultimi istanti de I duellanti.
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