Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Le lunghe scalinate di palazzi grigi e polverosi, i vicoli intasati che il protagonista percorre a fatica assorbono tutto il sole di Napoli per restituirci la luce nei volti consumati e diafani dei personaggi. La tenerezza è un film che non commuove, che i sentimenti li trattiene, ma se li nasconde è solo per preservarli da una morte annunciata..
“è la tenerezza che ci fa paura”. Recita così una famosa strofa di Gianni Nannini, che mi aspetto di sentire durante il film e, invece, lascia spazio alla stupenda voce di Arleta, artista greca pressoché sconosciuta, perfetta, insinuante, struggente colonna portante dell’ultima fatica di Gianni Amelio. Uno sforzo che sta tutto nel passo lento e malato del protagonista, interpretato da un autentico maestro come Renato Carpentieri che trascina la sua vecchiaia lungo i sali e scendi del cuore malandato della sua città. Le cabine della funicolare, le lunghe scalinate di palazzi grigi e polverosi, i vicoli intasati che il protagonista percorre a fatica assorbono tutto il sole di Napoli per restituirci la luce nei volti consumati e diafani dei personaggi. Elio Germano strozzato da un bizzarro accento del triveneto fa impressione, ma il suo sguardo sofferente e rabbioso ci fa presto dimenticare l’azzardo. Ingegnere navale del nord, sembra il più straniero tra gli stranieri che affollano la metropoli, che non riesce ad ambientarsi ma che in realtà sta solo scontando la sua inadeguatezza alla vita. La tenerezza di questo film è tutta nella macchina da presa, che guarda con gli occhi di quel fanciullo che riusciamo a disseppellire nel buio di una sala. Il "passero solitario" si è intubato nell’androne di un palazzone del centro, austero e decadente, il suo canto omaggia la malinconica dolcezza di Micaela Ramazzotti, moglie e madre svampita ma piena di amore e comprensione che presto scalfirà l’amaro cinismo dell’anziano scorbutico Lorenzo. Ci sono tante sbavature nel film, che si disciolgono attraverso gli occhi lividi e cerchiati di una ragazza madre interpretata da Giovanna Mezzogiorno, incapace di condividere l’affetto che le implode dentro; imperfezioni che non a caso sono anche lì per sottolineare l’aggrovigliato universo partenopeo. Gioiranno gli avvocati, per una storia che una volta tanto ci regala anche il lato simpatico e miserabile della professione. La felicità è anche un ospedale a cui tornare, parafrasando la metafora del film, dove imparare nuovamente a saper aspettare. Il maggior risultato del Regista è quello di aver saputo realizzare un’opera autonoma e distinta dal pregevole spunto narrativo. La tenerezza è un film che non commuove, che i sentimenti li trattiene, è vero, ma se li nasconde è solo per preservarli da una morte annunciata. Come quella del vecchio protagonista e che non avverrà mai.
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