Regia di Christopher Smith vedi scheda film
Famiglie allargate, problemi dilatati. Harper è figlio unico di una madre benestante, che attualmente convive con un compagno più giovane. Il ragazzo ci racconta che ora la madre versa in stato di coma a seguito di un incidente d’auto da cui il patrigno è risultato illeso. I sospetti del ragazzo che l’incidente sia stato pilotato dall’uomo per questioni di eredità, si infittiscono e scoraggiato, lo ritroviamo in una bar a scolarsi un drink. Circostanza che lo mette in contatto con un giovane boss seduto poco distante, del quale diviene in qualche modo confidente, dopo una presentazione non proprio calorosa. Sotto l’effetto dell’alcol, il ragazzo proporrà al delinquente una ricompensa a patto che questi elimini l’uomo, in viaggio di affari a Las Vegas.
Ma quando l’indomani il teppista si presenta presso la villa di Harper assieme alla sciroccata lap dancer che frequenta, egli, frastornato e confuso, cerca di dissuadere il killer dal proposito accordato la sera precedente, cercando anche di ricordarsi i dettagli di quanto accaduto nel frattempo, dopo un concitato contrasto col fidanzato della madre.
Christopher Smith, regista del simpaticamente sadico Severance-tagli al personale, torna in regia con un film dal titolo impegnativo, DETOUR, quella “deviazione”, pure qui tipicamente stradale, che rimanda al celebre classico quasi-capolavoro di Edgar G. Ulmer del 1945.
Questo Detour non costituisce affatto un remake del meraviglioso noir da noi conosciuto come “Deviazione per l’inferno”, ma in un certo senso ne omaggia l’esistenza sia concretamente, quando sorprendiamo il nostro protagonista mentre guarda in tv proprio il film culto di Ulmer, sia indirettamente, concentrando la sua attenzione anche in questo caso entro un terzetto di protagonisti (due uomini e una femme fatale), intenti ognuno a cercare di avere la meglio sugli altri due, con il protagonista, uomo o ragazzo fondamentalmente onesto, ma coinvolto in un complotto di cui da vittima appare effettivamente nelle vesti del carnefice.
Smith dirige una storia piuttosto lineare scombinando le carte, splittando lo schermo secondo due ripetute visioni da angolazioni diverse, ed introducendo, con singolare efficacia ed abilità tecnica pregevole, preziosi flash-back utili a trasformare la storia in un mistero destinato a chiarirsi poco per volta. Ecco pertanto un film in cui l’abilità di regia rende tutto più interessante, accattivante, scorrevole, anche laddove la sceneggiatura non riserverebbe grandi sorprese in termini di novità e suspence.
A completare la sostanziale riuscita del noir, un terzetto di attori molto funzionale: tra questi segnalerei soprattutto Tye Sheridan, ottimo giovane attore ormai sulla soglia del divismo grazie a Spielberg e al suo Ready Player One, ma già conosciuto e visto in alcuni Xmen, nel divertente manuale scout per giovani zombie, Enterteinment, splendido in Joe e in Mud, visto pure in Effetto Lucifero e The Tree of life, suo esordio al cinema col grande Malick.
Nel ruolo della femme fatale sfregiata con ostentazione, o quasi orgoglio, il regista ha avuto la azzeccata idea di coinvolgere un volto assai interessante: quello da bambola dolente e malinconica tutta occhioni cerulei spalancati, ma anche inquieto un po’ perverso, di Bel Powley, vista di recente in Wildling, ma pure in Mary Shelley e nel futuristico Equals: viso interessantissimo che esprime disagio già dalla prima inquadratura, e nasconde entro il timido incerto sorriso, l’espressione di chi ti sta studiando ed è pronto a fare la prima mossa, probabilmente fatale e decisiva.
E questo Detour, pur lontano dall’originale sin dalla storia, costituisce una più che accettabile variante o digressione del noir di Ulmer, che colpisce più per la tecnica di direzione e il valore delle sue singole interpretazioni, che per l’intreccio assai azzardato e davvero poco probabile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta