Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Un film che dispiega senza pudori la vera natura della violenza: una propensione innata in tutti noi, che germoglia dall’avidità e dal cinismo, e si coltiva nel branco, ma che, se perpetrata, è causa di inaudita sofferenza nell’individuo che ne è vittima. “Le iene” non è un autentico action movie, perché è pregnante, senza essere spettacolare, ed il vero dinamismo è quello dei moti dell’animo: a finire sbalzate fuori strada non sono le automobili, bensì le anime razionali dei personaggi, e i vicoli ciechi in cui si interrompono gli inseguimenti sono i cortocircuiti della mente, che bloccano le decisioni ingabbiando la volontà. Quest’opera, in fin dei conti, è un drammatico gioco delle parti, teatrale anche nell’ambientazione (un capannone adibito a magazzino) e nell’uso di espedienti recitativi (i nomi falsi dei rapinatori, il copione che l’agente infiltrato deve studiare a memoria). Come in un palcoscenico, gli avvenimenti del mondo esterno (la rapina, la scena della toilette, il reclutamento dei criminali) sono relegati nella dimensione del ricordo e dell’immaginazione, e fanno parte dei retroscena della storia che viene interpretata. Il presente è quella labile e sottile frontiera che separa il passato dal futuro, e che, in teatro, viene dilatata dai tempi scenici, e, in questo film, dal lento ritmo di un’agonia: è la tragica apertura verso l’ignoto e l’infinito, una parentesi che il finale troncato del film non vuole chiudere.
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