Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
In seguito ad una rapina andata male, i superstiti della banda (Buscemi, Keitel, Madsen), ritrovatisi in un magazzino abbandonato, iniziano a sospettare che tra di loro ci sia una spia della polizia. E in più c'è un membro della banda ferito gravemente (Tim Roth), che necessita di un medico al più presto.
Folgorante opera prima di Quentin Tarantino, uno dei registi più acclamati (ma allo stesso tempo più discussi) degli ultimi trent'anni. Sono relativamente pochi i film che Tarantino ha diretto nella sua carriera (appena 11, almeno finora): eppure quasi tutte le sue opere hanno segnato profondamente l'immaginario cinematografico contemporaneo, senza contare lo straordinario impatto mediatico che il suo modo di "fare cinema" ha avuto sul pubblico, specialmente tra le generazioni più giovani. E adesso vedremo perché, con riferimento alla pellicola in questione.
Innanzitutto, ciò che maggiormente stupisce ne "Le Iene" è la padronanza che Tarantino, seppur esordiente, già dimostra per quanto riguarda la gestione del mezzo cinematografico.
Certo, di "caper movie" fino a quel momento se ne erano visti una marea, e i predecessori illustri non si contano ("Giungla d'asfalto", "Rapina a mano armata", "Getaway!", solo per citarne alcuni), ma la destrutturazione che il regista opera all'interno del genere non ha precedenti. Una destrutturazione che si concretizza innanzitutto in un utilizzo inusuale dei flashback, nella scelta di non mostrare per niente la sequenza chiave intorno a cui ruota tutta la vicenda (cioè quella del colpo), e quindi ambientando la narrazione all'interno di un unico ambiente, dove le "Iene" danno il via ad un vero e proprio gioco al massacro, in cui appunto si "sbranano" a vicenda. E a dispetto delle frequenti ellissi e dell'ambientazione di tipo teatrale, la tensione rimane quasi sempre costante e ci sono dei gustosi colpi di scena. Ciò dunque dimostra la capacità del regista di coniugare le esigenze sperimentali con altre più marcatamente commerciali, per parafrasare François Truffaut.
Ma il primo film di Tarantino è soprattutto una sorta di dichiarazione programmatica, un esemplare di quelle che saranno le caratteristiche peculiari dello stile del regista: iperviolenza, un gusto per l'eccesso e le situazioni assurde, dialoghi fittissimi, paradossali e spesso spinti fino ai limiti della prolissità, ma soprattutto un diffuso piacere per le citazioni cinematografiche (che nei suoi film successivi si trasformeranno spesso, molto narcisisticamente, in vere e proprie autocitazioni).
Eccellente la scelta e la direzione del cast: accanto ad un Harvey Keitel mattatore, troviamo un indovinatissimo Steve Buscemi nel ruolo del rapinatore nevrotico, un ottimo Chris Penn (fratello di Sean) e il veterano Lawrence Tierney nella parte di Joe, l'organizzatore del colpo. Forse un pò meno brillanti ma pur sempre efficaci Michael Madsen e Tim Roth; Tarantino invece si ritaglia il piccolo ruolo di Mr. Brown.
Tra le scene d'antologia vanno annoverate indubbiamente l'incipit al bar e i successivi titoli iniziali, ritmati dal brano "Little Green Bag", con la banda al completo che avanza in una strada di città (ispirata senza ombra di dubbio alla sequenza finale di "Colpo grosso" di Lewis Milestone).
Piccola curiosità: l'idea di dare ai criminali i nomi in codice dei colori proviene dal film "Il colpo della metropolitana", di Joseph Sargent, con Walter Matthau e Robert Shaw per protagonisti.
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