Regia di Lucien Jean-Baptiste vedi scheda film
Lucien Jean-Baptiste (sì, Jean-Baptiste è il cognome) è regista, sceneggiatore e attore francese nato in Martinica (dipartimento d'oltremare francese); la madre si trasferisce nella "Francia metropolitana" quando lui ha tre anni.
Aïssa Maïga è nata da madre senegalese che è venuta in Francia quando lei aveva quattro anni. Ha ricevuto una educazione molto varia, senegalese francese e indocinese, mussulmana laica e cattolica. Come attrice ha recitato diversi ruoli con grande versatilità; si è impegnata presto contro forme di razzismo; nel 2018 assieme ad altre attrici nere ha pubblicato un libro, "Noire n'est pas mon métier" (Nera non è il mio mestiere) per denunciare forme di razzismo anche nella scelta dei ruoli da affidare alle attrici nere, per esempio spesso infermiere raramente avvocati.
Ho precisato queste notizie sul regista e sui due protagonisti del film perché possono essere utili per capirlo e apprezzarlo. Non avevo precisato che anche Jean-Baptiste è nero; anche questo è importante per il film.
Infatti nel film i due protagonisti sono una coppia di sposi neri, Paul e Sali, lui orfano originario della Martinica, lei del Senegal, con madre e padre residenti in Francia.
Paul e Sali, non potendo avere figli, si sono rivolti a una associazione per l'aiuto sociale all'infanzia (ASE), che affida loro il piccolo Benjamin, di quattro mesi. Ma il bimbo è bianco! Dopo un attimo di sconcerto, di stupore ma non di rifiuto (ben recitato) i due aspiranti genitori accettano con sempre crescente entusiasmo, e il bimbo sembra accettarli con lo stesso entusiasmo.
A questo punto segnalo anche l'insensatezza della traduzione italiana del titolo, che togliendo il "già" (déjà) al titolo originale ne toglie anche il senso e lo rende assurdo: è chiaro, e vistoso fin dall'inizio, che il bimbo non ha gli occhi dei genitori, ma è bello che l'amore li avvicini al punto che presto lui abbia "già" i loro occhi.
Ma le cose non sono così semplici.
Prima dell'adozione definitiva il bimbo resta affidato in prova per sei mesi, con il controllo di una assistente dell'ASE che segnala eventuali inconvenienti e vuole conoscere anche i "nonni" per verificare che lo accolgano bene. Ma i genitori di Sali rifiutano un nipote bianco.
Il film correttamente segnala e denuncia anche il razzisno inverso, dei neri nei confronti dei bianchi. A questo proposito ricordo e segnalo a mia volta che anche questo è molto diffuso: io ho vissuto per qualche anno a Mogadiscio, dove la nostra cameriera somala, nera, ci diceva che suo padre era razzista sia contro i bianchi sia contro i "negri", cioè i neri della Somalia meridionale, dalle labbra grosse e il naso schiacciato, a differenza della maggiranza dei somali; il padre le diceva che lei avrebbe dovuto sposare un vero somalo, ma, piuttosto che un "negro", era meglio che sposasse un bianco.
Quando Sali esce con il suo bimbo tutti pensano che lei ne sia la "nounou", la babysitter; anche quando lo porta dal pediatra.
Finalmente la madre di Sali (ma non il padre) accetta il bimbo come suo nipote e lo accoglie e festeggia assieme alle sue amiche. Ma lo affida momentaneamente a una babysitter sans-papier controllata dalla polizia. Il bimbo viene preso e consegnato alla ASE, ma da quel momento lui rifiuta di mangiare, tanto che deve essere portato in ospedale. Quando i "genitori" lo sanno si precipitano con amici, lo trovano, lo prendono e fuggono in una camera per nutrirlo. Il bimbo finalmente smette di piangere e mangia soddisfatto in braccio alla "mamma".
Con un finale da slapstick...
Il film è discreto, gradevole, con scene esagerate, confuse e farsesche, presto corrette in episodi seri e realistici.
Inoltre mi pare importante la denuncia del razzismo rovesciato... peraltro già presente in "Indovina chi viene a cena"
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