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Quello che so di lei

Regia di Martin Provost vedi scheda film

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La recensione su Quello che so di lei

di alan smithee
6 stelle

“Sage-femme” (titolo originale ben più significativo del titoletto italiano che tergiversa sul nulla) sta a significare in lingua francese ostetrica, ovvero la levatrice.

Tale è infatti Claire, cinquantenne molto ricercata ed apprezzata nella struttura ospedaliera in cui opera, peraltro in fase di dismissione, per questo suo dono innato di riuscire ad alleviare e a risolvere anche i parti più complicati e pericolosi.

Donna sentimentalmente sola, con un figlio universitario a carico pure lui in attesa di un bebè dalla compagna coetanea, Claire vive del suo lavoro e di solitudine, occupandosi nei rari momenti di libertà del rigoglioso orto che coltiva sulle rive del fiume, poco fuori dal centro cittadino.

Il giorno in cui riceve la strana telefonata della più anziana Béatrice, ex amante del padre della donna, nel frattempo e a insaputa dell’ex amante, suicidatosi, le due donne finiscono per incontrarsi, apprendendo l’una dall’altra notizie che aiutano entrambe a completare un puzzle irrisolto di ambedue le esistenze.

Beatrice ha vissuto di frivolezze ed avventure tutta la vita, è una giocatrice d’azzardo incallita, fuma sempre anche se non dovrebbe, e spende e spande oltre il consentito: ora è alle prese con un esame per accertare le proprie condizioni di salute, minata com’è da un cancro forse incurabile.

Claire invece ha vissuto sempre e solo della concretezza del suo lavoro, mettendo al mondo nascituri e vivendo per il benessere e la realizzazione del suo unico figlio, a cui ha sempre fatto da madre ma anche da padre.

Il confronto tra le due donna regalerà ad ognuna di esse l’opportunità di riflettere sulla propria esistenza, chiarendo ad ognuna circostanze rimaste oscure dalla crudeltà della vita, o semplicemente soffocate per cause contingenti o fortuite.

Martin Provost, abile già in passato a tratteggiare con acume e finezza ritratti femminili esemplari o dalle forti sfaccettature personali (suoi i riusciti Séraphine, Violette, e Où va la nuit), rafforzato qui dalla spiccata personalità delle due più celebri Catherine di Francia, Frot e Deneuve – coinvolte, se non sbaglio per la prima volta, in un duetto intimo e molto efficace che dimostra un affiatamento ed una intesa davvero notevoli – dirige un film che parla di estremi contrapposti ma non inconciliabili: vita che nasce e compie i suoi primi respiri, e di morte che arriva quando invece, come rivela drammaticamente Béatrice “io ho ancora una grandissima voglia di vivere”.

Un film che trae la sua forza, oltre che dalle sue straordinarie protagoniste (ma pure Olivier Gourmet, in un ruolo di contorno, è sempre una garanzia) da questa antitesi che alla fine dimostra una sua insperata coerenza, aiutando entrambe a trovare, ognuna a modo suo, una coerente collocazione.                                                                                                                             

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