Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
Mai (o quasi) premio Oscar fu più strameritato: al suo sesto film (il quarto che arriva in Italia), il regista iraniano Asghar Farhadi confeziona una sceneggiatura impeccabile (altro premio, quello preso a Cannes) in una chiave da melodramma a tinte gialle. Siamo a Teheran. Emad (Hosseini) e Rana (Alidoosti) sono una coppia affiatata. Lui si divide tra l'insegnamento e il palcoscenico, dove, insieme a sua moglie, sta provando la Morte di un commesso viaggiatore di Miller. La casa dove abitano rischia il crollo e loro trovano posto nell'abitazione di un anziano compagno di teatro (Karimi). Il fattaccio arriva quando Rana, lasciata incautamente la porta di casa aperta in attesa del ritorno di Emad, viene aggredita da uno sconosciuto, capitato lì nella convinzione di poter trovare nell'appartamento la precedente inquilina, una prostituta. Emad ritrova un furgoncino e oggetti lasciati dall'aggressore e si mette alla sua ricerca.
Farhadi recupera le tematiche dei suoi film precedenti, quella del rischio separazione per divergenze etiche (Una separazione) e quella della ricerca ossessiva della verità (Il passato), riproponendole in una chiave narrativa a orologeria degna del miglior Hitchcock. Ad accompagnare lo straordinario climax narrativo in salsa minimalista c'è il continuo gioco di rimandi tra ribalta (quella teatrale) e retroscena (quella della vita privata), nel quale l'una prende il posto dell'altra, e viceversa. In più, il plot si dipana su una serie di bivi - con altrettanti colpi di scena - che obbligano il protagonista (anche lui premiato a Cannes per la sua strepitosa interpretazione) e sua moglie ad altrettante scelte con inevitabili ricadute sulla loro vicenda umana. Un imperdibile apologo laico sul tema del perdono.
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