Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
Un racconto di vita secondo Asgar Farhadi. Riferimenti espliciti all’Iran, in veloce evoluzione ma anche altrettanto statico, con uno sguardo ampio e uno stile che fa altrettanto. A volte, basta un niente per cambiare tutto, soprattutto se il sistema non fa nulla per evitarlo. Cinema preciso, delineato e cosciente in ogni piega che propone.
Asgar Farhadi torna in Iran, dopo l’avventura francese de Il passato, e ritrova il feeling – oltre che i premi a Cannes (miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista, due componenti in cui effettivamente eccelle) – dei suoi precedenti lavori, soprattutto ha più elementi, pratici e tematici, da spartire con Una separazione, la sua opera più apprezzata e compiuta.
Il cliente - The salesman è un'eloquente rappresentazione di un autore che riesce a coniungare la sua terra in racconti leggibili in maniera universale.
Emad (Shahab Hosseini) e Rana (Taraneh Alidoosti) sono obbligati a lasciare la loro casa pericolante e riescono a trovare una sistemazione temporanea in un appartamento offerto da un loro conoscente.
Abitandoci, scoprono in breve tempo che chi viveva lì prima di loro ha lasciato delle tracce che li cambierà per sempre, portandoli a rielaborare il loro pensiero e, soprattutto, su posizioni sempre più lontane.
Nella vita basta un attimo per cambiare tutto. Un malaugurato disguido, in questo caso una nuova costruzione, produce una reazione a catena che coinvolge una coppia, chiamata ad affrontare un’inattesa sfida con ciò che la circonda, a partire dal sistema sociale e le abitudini consolidate, con le differenze tra la figura maschile e quella femminile a dettare delle linee invisibili che diventano muraglie destinate a segnare posizioni e comportamenti.
Una ramificazione che la sceneggiatura contrappunta con precisione creando distanze sempre più incolmabili, tra desideri di vendetta e perdono, con necessità umane diverse per le quali non si può rinnegare la propria presa di posizione nonostante l’amore.
Lo sfondo è altrettanto arioso, dai mutamenti sociali - il nuovo avanza ma solo nella forma di oggetto, non nell’umanità da sempre più lenta a evolversi, quasi fosse frenata e non desiderata quanto la modernità - ai costumi della rappresentazione teatrale - difficile calarsi nei panni se chi dovrebbe essere quasi nudo indossa un cappotto per esigenze di censura - con in più comportamenti di lunga tradizione, tra apparenza e realtà, una facciata pulita e alle spalle ben altre pulsioni da tenere rigorosamente celate.
Una costruzione che genera una tensione latente, con più svolte drammatiche pronte a sbucare, che cresce e proprio il finale azzera quasi completamente le distanze con Una separazione, con un allontanamento ormai assodato dopo una prova del nove che non può che essere fallita in virtù di una forza centripeta, quasi primordiale.
Così, le difficoltà della coppia, tanto più laddove le divisioni tra i sessi sono più marcate, sono tema dominante oltre ogni possibile problematica; quando si è allontanati da un fattore esterno, qualora si prova un avvicinamento si è respinti e se la cultura radicata non può venire in aiuto si perde anche ogni forma di un mutuo soccorso.
In fondo, tutto normale e passibile di rilettura a ogni latitudine, ci sono ferite difficili da trattare, capaci di piegare anche i rapporti più sani e se il tessuto sociale non sa (non ha gli strumenti per) leggerle diviene tutto più difficile.
Con un film ad alta densità, Asgar Farhadi si conferma il più internazionale tra i registi iraniani di questi anni, all’interno di una scuola sempre più ricca, parlando dei luoghi che ben conosce, riuscendo a proporre un respiro molto più ampio che rende le sue storie universali, seppur con tutte le caratteristiche locali proprie del caso.
Un cinema maiuscolo, realizzato con precisione spesso millimetrica, questa volta con maggiori declinazioni artistiche – lo spettacolo teatrale inscenato, Morte di un commesso viaggiatore, serve alla causa – grandi interpretazioni, Shahab Hosseini sottolinea un percorso ineluttabile, e la direzione dimostra di avere idee chiarissime e trasversali.
Senza sconti.
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