Regia di Milos Forman vedi scheda film
Non mi ha folgorato. Sicuramente Forman fa sfoggio di grande mestiere e di grande astuzia nel toccare le corde giuste delle emozioni. Per l'epoca la messa in scena doveva risultare una boccata di originalità discostandosi dagli schemi produttivi americani in linea con la nascente New Hollywood. Tuttavia il film rappresenta un'idea edulcorata della pazzia poco attendibile secondo me, filtrata, resa un pò più digeribile per il grande pubblico. Non so quanto possa far bene alla causa. Obbliga lo spettatore a schierarsi dalla parte giusta contro modelli direttivi svuotati di umanità. Coglie in segno il problema per quanto riguarda le dinamiche gerarchiche ma la sensazione è che la diversità sia strumentalizzata per rappresentare un'idea di società esterna agli istituti di cura mentale. Louise Fletcher assurge a livello di icona nel suo ruolo. Non riesco ad immaginare altre attrici nella sua parte. Tutto il film fa perno su di lei. Il fatto però che una capo-infermiera gestisca anche le terapie mi sembra fuori logica. Forse l'america è realmente così. Sono portato a vederla come un'altra astuzia narrativa predisposta dalla produzione per evitare polemiche da parte della categoria degli psichiatri. Per quanto riguarda J.Nicholson siamo abituati a vederlo nella parte del folle outsider, summa di tutte le gigionerie all'americana. La forma è originale ma la sceneggiatura è da schema americano, Disneyano, oserei dire, con i suoi buoni contro la strega cattiva, i sentimentalismi e le incurisioni fantastiche. E' buono ma con riserva per le troppe furbizie. Quello che mi commuove, come sempre al cinema, è la poetica della fuga da una società (ir)razionalmente repressiva. Una soluzione finale che col passare del tempo acquista sempre più senso.
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