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The Giant

Regia di Johannes Nyholm vedi scheda film

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La recensione su The Giant

di OGM
8 stelle

Un uomo piccolo piccolo. Ingigantito da un sogno immenso.

Sognare. Si riesce a farlo meglio, quando la testa è tanto diversa da come la vorrebbe la realtà circostante. Allora  la mente può davvero funzionare come una sfera magica, che accoglie le piccole cose come fossero miracoli che ingigantiscono le emozioni.  Rikard è un ometto dal volto deforme, che ci vede a malapena, quasi non si regge in piedi, eppure è un aspirante campione di pétanque. È il pallino che nessuno è in grado di avvicinare, tantomeno di spostare per accumulare punti. Laddove gli altri allungano le mani per mostrarsi forti, lui alza il braccio per lanciare il suo messaggio il più lontano possibile. La vita, che lo ha inchiodato all’umiliazione dell’abbandono materno, non gli ha tolto la voglia di andare oltre, anche nei luoghi per lui irraggiungibili: un appartamento dietro una porta chiusa, l’altezza sconfinata del cielo. L’immaginazione diventa la proiezione di una grandezza che coincide con la vittoria sulla debolezza, con l’affermazione dell’essere al di là delle comuni definizioni. L’emarginazione degli ultimi può così diventare il circolo della gioia, nel quale giocare è facile, mentre alla normalità, con la sua ottusa ed inutile incredulità, è assolutamente vietato l’ingresso. Raccontare si trasforma in un’avventura quando, come in questo caso, si tratta di guardare dal di fuori il modo in cui il fenomeno da baraccone  vede se stesso, esposto agli occhi critici ed indagatori del mondo, e spettatore lui stesso di un’umanità storta ed incompleta: una massa schiacciata al suolo dalla mancanza d’ali, ed incapace di riconoscere ed apprezzare il volo altrui. Il volteggio di Rikard si trova ridotto ad un’allucinazione individuale e segreta: nonostante la sua figura attraversi il paesaggio con l’imponenza di un titano, il suo mito passa del tutto inosservato. La favola non è che  fantastico doppio fondo della storia: in primo piano si nota invece soltanto il suo aspetto mostruoso, un ammasso carnoso in cui tutti credono che la felicità sia rimasta soffocata. Al di qua dell’apparenza, il tono narrativo è quello grezzo e irrisolto del documentario: fatti e parole si riversano scompostamente sulla scena  con l’arrogante noncuranza di chi è convinto che la verità sia quella che viene su da sé, nuda e cruda, senza l’artificiosa mediazione di un pensiero o il filtro incantatore di una metafora. Ma le pagine del film nascondono, dietro la superficie ruvida della cronaca scritta di getto, il lato morbido di un’intima utopia: un’illusione che è l’entusiasmo di esistere, resistere, insistere nel voler essere poveri, svantaggiati e visionari. 

 

Johan Kylén

The Giant (2016): Johan Kylén

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