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Star Wars: Gli ultimi Jedi

Regia di Rian Johnson vedi scheda film

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La recensione su Star Wars: Gli ultimi Jedi

di supadany
7 stelle

Preso atto che non si tratta più di pellicole ideate per divenire immortali, il capitolo VIII di Star Wars regala un fraseggio in crescendo, che guarda al passato senza esserne supino. Al passo coi tempi, anche nel rappresentare chi crede nel futuro dell’umanità, ormai circondato da chi vorrebbe seppellirlo, nel nome del potere assoluto.

Transitare dallo stato di evento una tantum ad abitudine forzatamente stagionale, è una trasformazione che fa sentire il peso di un processo sempre più industriale. Certo, in questa circostanza si parla dell’unico marchio – Star Wars - in grado di ridimensionare anche quei supereroi che da anni vanno per la maggiore e la produzione Disney non ha limiti di mezzi ma, così facendo, tenere alta l’asticella della magia diventa una chimera, mentre è ancora più complicato riuscire a generare il più naturale stupore, quello che consente di non dimenticare mai più una scena.

In questo secondo capitolo della terza trilogia di Star Wars fioccano gli eventi, i personaggi si sormontano l’un l’altro in un coro di voci solo parzialmente coordinato, mentre il passato, il presente e il futuro acquisiscono i loro spazi sia tra i personaggi, sia nel più basilare modus operandi, producendo un concerto con singoli pezzi dalla qualità variabile, ma complessivamente di alta accessibilità e dall’effetto trascinante.

Mentre Rey (Daisy Ridley) cerca di convincere Luke Skywalker (Mark Hamill) ad abbandonare il suo esilio volontario, la Resistenza guidata da Leia Organa (Carrie Fisher) è impegnata in una dura battaglia contro la flotta del Primo Ordine.

Nello spazio le sorti sembrano inesorabilmente segnate, ma Poe Dameron (Oscar Isaac), Finn (John Boyega) e Rose (Kelly Marie Tran) non hanno alcuna intenzione di darsi per vinti e cercano disperatamente una soluzione per salvare il salvabile. Nel frattempo, Rey raggiunge una sempre maggiore consapevolezza della sua Forza ed è avvicinata mentalmente da Kylo Ren (Adam Driver), la cui sete di potere assume proporzioni fuori controllo.

 

Daisy Ridley, Mark Hamill

Star Wars: Gli ultimi Jedi (2017): Daisy Ridley, Mark Hamill

 

L’universo sempre più espanso - tra una linea principale in progressione orizzontale alternata a spin-off verticali (Rogue one: A star wars story) - di Star Wars passa dall’umile devozione de Il risveglio della forza a una procedura più energica, uno scarto inevitabile che Rian Johnson governa stipando all’inverosimile uno scrigno che, per forza di cose, non può contenere solo il metallo più pregiato.

D’altronde, quando la scelta gestionale ricade su di uno spartito dal carattere fortemente polifonico, non può funzionare tutto a menadito: la filastrocca ideata non tiene sempre le rime e l’andamento procede spedito, con automatismi gracili ma anche momenti ad alto pathos e soluzioni epiche che godono di una definizione maggiore di quanto non sia accaduto nel precedente episodio.

Così, guardando al passato, per poi in alcuni casi scalzarlo con un certo grado di sprezzo, il confronto tra maestro e allieva non raggiunge le vette contemplate in L’impero colpisce ancora, le battaglie stellari non sfiorano l’adrenalina di Guerre stellari e, più in generale, i singoli conflitti non possono ambire a rispolverare le vette conquistate in precedenza.

Detto questo, non è nemmeno giusto farne una semplice questione di reminescenze mnemoniche e Gli ultimi Jedi offre un incastro che, con tutte le ellissi necessarie a mescolare i diversi layer dell’azione, officia un’esecuzione che non si ferma mai, nemmeno davanti all’ipotetico imbarazzo.

Soprattutto, l’ultima lunga fase non dà tregua ed è difficile resisterle nel suo riprendere tensioni latenti ed equilibri instabili, l’eterna lotta al fulmicotone tra il Male, sul punto di esondare e travolgere l’universo, e il Bene, messo alle strette, con il sacrificio, ma anche l’ardore di chi non possiede alcun potere speciale, se non quello di avere un cuore che consente di osare.

In aggiunta, almeno un paio di scenari colpiscono l’attenzione: l’isola montagnosa sul pianeta Ahch-To sembra fuoriuscita da un libro di J. R. R. Tolkien, mentre la città di Canto Bight ricorda quel Valerian e la città dei mille pianeti che, nella sua versione fumettistica, fu proprio una delle principali fonti da cui George Lucas attinse per generare il mito nella seconda parte degli anni settanta.

Proprio in questa escursione, entra in scena un galeotto machiavellico interpretato con istrionismo da Benicio Del Toro, solo – purtroppo - un anello di congiunzione in un oceanico cast, all’interno del quale le nuove leve sono soggiogate dai vecchi leoni. Nella prima categoria non si difetta in volitività: Daisy Ridley mostra con semplicità quanto possa essere deflagrante scavare nell’interiorità, Adam Driver ha una classe tale da consentirgli di reggere il peso di un personaggio ammantato dalla fame di potere e controllo, John Boyega è come un pugile sul ring e Jason Isaac imprime una determinazione incontrovertibile, mentre il più capace Dohmnall Gleeson finisce intrappolato in una caricatura stile Balle spaziali (e per com’è agghindato, somiglia più a un giovane Donald Sutherland che a suo padre, Brendan Gleeson). Nel secondo campo, la commozione sgorga a ogni apparizione di Carrie Fisher, ma questa volta la ribalta vera e propria è affidata a Mark Hamill, un volto segnato dagli anni e generalmente nascosto alla pubblica attenzione, perfetto per trattenere tra le rughe del suo viso l’intera storia della saga.

 

Carrie Fisher

Star Wars: Gli ultimi Jedi (2017): Carrie Fisher

 

Alla resa dei conti, Gli ultimi Jedi non può che pagare il prezzo dall’ineludibile confronto con quanto fu, ma la nuova natura della saga, non più un regalo episodico da custodire nella notte dei tempi, lo legittima, mettendo in moto una giostra che gira per centoquaranta minuti (un po’ troppi) con un solo gettone, un passo di un tragitto che ci accompagnerà negli anni, tra connessioni cerebrali – tra Rey e Kylo – che segnano il montaggio con tagli rapaci, creature pensate giusto per il marketing (i fantomatici Porgs hanno gli occhi dolci e lacrimosi de Il gatto con gli stivali ma non vanno in sovraesposizione, un pericolo alla vigilia assai temuto) e, prima di ogni altra cosa, la sempiterna lotta tra il Male sempre più forte a bramoso del potere assoluto e il Bene, più decimato che mai, ma non per questo prono all’estinzione cui sembra destinato.

Variamente dispersivo, spesso incalzante, con poche reali sorprese ma sostanzioso: non possiede sufficienti ingredienti afrodisiaci per soddisfare pienamente il palato ma riempie.

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