Regia di James Gunn vedi scheda film
C’è molto dello spirito sbarazzino del primo volume nell’esordio del secondo Guardiani della Galassia, con i titoli di testa che scorrono su Baby Groot che non resiste e ballonzola al ritmo di una canzone della cassetta di Star Lord, mentre sullo sfondo imperversa una battaglia contro un mostruoso e agguerrito alieno. I protagonisti del primo film sono ormai diventati la squadra dei Guardiani della Galassia, Avengers cosmici chiamati a risolvere problemi interstellari, spesso però causandone altrettanti per la singolarità delle loro devianti personalità. Del resto il film si basa tutto - anche esplicitamente - sul concetto di famiglia e sulla preminenza di quella acquisita e scelta rispetto a quella biologica e sulla funzionalità di un gruppo nel suo insieme a dispetto delle disfunzionalità del singolo. E, in effetti, tutta la trama si può riassumere in una declinazione galattica della ricerca del padre o, viceversa, del figlio da parte del genitore, oppure in una seduta psicanalitica di gruppo e parodica in cui tutti i personaggi fanno i conti con le difficoltà dei legami parentali: Gamora con la rivale sorella Nebula e i dissidi con l’esigente sadismo del padre Thanos; Star Lord e l’affetto per la madre terrestre, morta di cancro, e la mancanza del padre, un alieno come in Starman di Carpenter ma meno cristologico; Yondu, il Ravenger blu, padre putativo e paradossale di Peter Quinn in cerca di rispettabilità e onore; Rocket nato da esperimenti genetici e incapace di comprendere la sua natura, animalesca e sperimentale, e logorato dalla solitudine che traduce in cinismo nichilista.
Ma dopo le ottime premesse, il film sembra più divertito che divertente, lottando contro le costanti difficoltà che la space-opera comporta, per quanto sarcastica e palesemente fumettistica (nel senso di un infantilismo consapevole), ossia una trama sfuggente alla logica consueta, conflitti spaziali esorbitanti e numerose razze extraterrestri di contorno. Eppure la narrazione rimane sinteticamente legata alle premesse del primo volume, con le conseguenze del mistero sulla natura parzialmente aliena di Peter e i rapporti all’interno dello sconclusionato A-team stellare. Il film, infatti, riparte addirittura negli Anni 80 con l’icona carpenteriana Kurt Russell prestata alla fantascienza e la seduzione della madre di Star Lord, recupera tutti i protagonisti del predecessore e li porta ad ulteriori sviluppi e introduce, in numerosi sottofinali, le promesse dei film a venire (di cui almeno un terzo volume del franchise e numerosi intromissioni in altri ambiti Marvel) con l’introduzione di altri personaggi (tra cui l’altra icona muscolare Stallone, già vista nel film stesso), l’uomo perfetto Adam (Warlock) e l’ombra di Thanos sullo sfondo. La continuità delle interconnesse vicende Marvel e della sceneggiatura di Guardiani della Galassia vol. 2 è pertanto stretta e vincolante, senza apparenti divagazioni. Eppure il film non appare innovativo poiché porta alle estreme conseguenze lo spirito un po’ goliardico del primo volume, innestandole di forti tentazioni postmoderniste che ne fanno un pot-pourri dell’intero Universo Cinematografico Marvel.
In senso lato, la pellicola di Gunn è anche un riassunto di un certo immaginario collettivo pseudo-adolescenziale americano (quello formatosi negli Anni 80 e molto di moda al cinema oggi) che si rifà, per temi e toni, ai film Amblin e, per i personaggi abbozzati e la preminenza di un fondale riconoscibile, alle serie tv episodiche e procedurali (pur offrendo un film perfettamente e consapevolmente serializzato nella consequenzialità del primo e nelle anticipazioni del terzo). Su un territorio di intesa comune e vantando una superficialità orgogliosamente esibita, il film inanella cameo dell’Osservatore (che ascolta un logorroico Stan Lee), di Howard il papero (di cui si vocifera da tempo un remake aggiornato) e di Stallone nella parte (quasi) di se stesso (aggiornata al post-retrò degli Expendables rivisti in versione spaziale come Ravager) ponendoli a contorno del ritorno in campo dei protagonisti col loro nuovo super-nemico, Ego. Diventato celestiale, mini-dio “con la minuscola”, il pianeta vivente vanta origini divergenti rispetto ai fumetti ma una costante animosità e ingordigia energetica alla Galactus (ma con la minuscola: il copyright è della Fox), avendo bisogno di nuove leve per corroborarsi e completarsi. Rispetto al primo film viene sottolineata la contemporaneità delle vicende narrate con il tempo terrestre (e della altre avventure Marvel, peraltro ormai spostate su fondali più ambiziosi ed extraterrestri con gli Avengers e il Dottor Strange) e troviamo l’aggiunta di un certo voluto kitsch artistico nel falso gusto arabeggiante del castello (alla Sammezzano) di Ego, paese delle meraviglie di una distopia familiare, con aggiunta di sculture in simil-Koons a mo’ di illustrazioni.
Divertissement spudorato, I guardiani della galassia vol. 2 è comunque un esempio di opera completa, con un totale controllo e integrazione reciproca di ogni aspetto produttivo, dai titoli di testa a quelli di coda, un lavoro di cesello che si vuole anche summa di un certo modo di pensare il cinema e l’intrattenimento, autoreferenziale e post-moderno insieme, spensierato e calcolato, blockbuster quanto opera d’autore. I guardiani della galassia vuole e riesce a riunire in un’unica famiglia acquisita, solidale per referenti culturali e pop, astanti e autore, ma capita che a volte, però, lo spettatore e il regista finiscano storditi e perdano i contatti proprio in quell’amato vuoto siderale così pericolosamente privo di silenzio.
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