Regia di James Gunn vedi scheda film
Io sono Groot.
Sì, ok, conosciamo il (fantastico) tormentone. E ci piace(rà) sempre. Un po' come un pezzo/tutti i pezzi degli AC/DC.
D'altronde, nell'incipit la scena – formalmente uno scontro intergalattico con un mostro schifoso che vede schierata l'allegra ciarliera brigata dei Guardiani al completo – è tutta del baby-albero, che si muove lungo il coloratissimo, caotico scacchiere cinematico con tutta la simpatia e la tenerezza di questo e degli altri mondi.
Funziona così, infatti: se i personaggi sono riusciti, il film è bello che fatto. A maggior ragione per un blockbuster fantasy-supereroistico, i cui protagonisti sono (erano) pressoché sconosciuti outsiders dal fascino fulmineo.
James Gunn, matto e intelligente in egual misura, lo sa benissimo: allora la caratterizzazione marcata dei vari Star-Lord e Gamora, Drax e Nebula, Rocket e Baby Groot procede spedita e amplificata lungo la (fortunatissima) direttrice tracciata nel primo capitolo.
Dall'intersezione con gli ovvi innesti (sempre dal tratto accentuato, e oggetto di un umorismo personalizzato dissacrante, tra i quali la nobile, frigida sacerdotessa Ayesha, la telepate/empate Mantis, l'entità “celestiale” nonché pianeta vivente [1] nonché padre di Star-Lord, il kurtrussellizzoide Ego) s'incrociano nuove scie comiche che ingrossano così la fantastica crassa massa incasinata-casinista (ma d'una lucidità organizzativa mirabile) plasmata dal demiurgo/chirurgo Gunn (del quale si possono immaginare, persino intravedere, tra le bizzarrie diffuse e profuse con palese autocompiacimento, il ghigno e gli occhi del pazzoide e la sottocultura nerd in cui tanti si riconoscono).
Il resto – la “trama” (che barba, che noia) – è un mantra in sottofondo, una musichetta da ascensore lineare e banale, esile, un pretesto in forma di narrazione che sostiene come scheletro inerte muscoli e cuore e corpo d'un cinema strafatto di un immaginario – riconoscibile e inconfondibile – che tritura e alimenta il nutrimento essenziale per lo spettatore drogato di pallosissime continuity marveliane (di cui vivaddio, cioè Ego, non v'è traccia!) e convenzioni seriali.
Ovvero le (assuefacenti) sostanze pop-nostalgiche: dal caleidoscopico campionario di feticci anni settanta-ottanta intimamente personale e per certi versi spiazzante (il papero Howard, David Hasselhoff, prima più volte menzionato poi in cameo, la presenza di Sylvester Stallone, il florilegio felice e tossico di citazioni e rimandi) all'attesissima, pompata colonna sonora ("Awesome Mix Vol. 2", of course!), vera colonna portante – e non mero elemento decorativo – che definisce, infine e compiutamente, animo, identità e cifra stilistica.
Dell'opera e del suo creatore.
Semmai, il rischio, oltre all'inevitabile ripetitività e derivatività, è l'omologazione – per ora scongiurata – all'industria sforna-prodotti in serie marveliana, ma pure una pericolosa deriva “fastandfuriousiana”, laddove si accenna e ci si rifugia nel sempreverde valore “religioso” della “famiglia”.
Occhio: l'unione e l'unicità del team dei Guardiani si possono giustificare in altre maniere …
Comunque, roba trascurabile (sperando rimanga tale), nel fantasmagorico disegno generale gunniano.
Insomma il divertimento è assicurato, gli attori sono innegabilmente dentro lo spirito e l'anima del film e assicurano innegabile, istantanea empatia.
Ben cinque scene post-titoli di coda (!!), tutt'altro che necessarie: l'ultimissima, con Stan Lee spicca per inutilità, splendida invece quella con Sean Gunn (fratello del regista, già irresistibile mitico scemo del villaggio delle Gilmore Girls).
Alla prossima.
[1] ok, non c'azzecca una fava fresca con la ricercata musica seventies del film ... ma non sono riuscito a farne a meno! (segue strepitoso pezzo dei Monster Magnet).
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