Regia di Koji Fukada vedi scheda film
Ciò che, per chi scrive, convince di Harmonium è, in particolar modo, la normalità, riguardante la modalità di racconto, con cui vengono espressi, nonché messi in scena, il male, la violenza, la solitudine, la disfunzionalità familiare, etc.; una "normalità", sia stilistica che narrativa, che, in questo caso, paradossalmente, risulta pure più destabilizzante e funzionale, per dire, del cinismo e della freddezza concernenti il cinema di Haneke, oppure della passionalità ed esplosività relativi il cinema di Sono. Stesse tematiche, sostanzialmente; ma, appunto, ciò che persuade, stavolta, è la normalità della modalità di racconto con cui viene mostr(ific)ato lo sviluppo filmico.
Insomma, è questo essere tutto così dannatamente normale, che atterrisce lo spettatore; questo (pro)cedere per inerzia, così da "esaurirsi per autocombustione" [non poteva trovare termine più adatto Aldo Spinello, per la rivista di cinema online Sentieri Selvaggi], fino ad emergere, già morti, dall'abisso. Solo per poter, finalmente, accendere la luce. E spegnersi. Poiché erano in vita o, meglio, non-morti, solo grazie all'oscurità.
Un'altra nota di merito va, per il sottoscritto, sicuramente al finale: si pensi a Takashi e al fatto di come quest'ultimo nemmeno si getti nell'acqua, almeno palesemente, eppure risulterà già morto sulla sponda del fiume. Ovvero annegato, senza annegare. Già morto, appunto, poiché, era solo questione di tempo. Era destino. Era già così.
Si pensi anche al miracolo capovolto che avviene nella medesima sequenza, a voler esprimere, sostanzialmente, lo stesso concetto esposto poc'anzi: Hotaru, ovviamente paralizzata, riesce incredibilmente a nuotare solo per risalire in superficie e morire, spegnersi. E, chi lo sa, magari, uccidere il giovane ragazzo, Takashi. Era destino, di nuovo. Era tutto già spento in partenza. Erano già macerie. E tutto si ripete, si manifesta. Come fosse un male ciclico, ineluttabile. Come la foto presagiva.
[non per nulla, anche Hotaru, in questa occasione, era vestita di rosso, così come Toshio quando si rivela essere un mostro. Anzi. Il Diavolo. CColui he pareggia i conti. Lo stesso che spinge Akiè, definitivamente, a gettarsi dal ponte. Lo stesso Diavolo che lavorava insieme a Dio, per dire, complici della disfatta dell'uomo. Della sua morte in partenza. Colleghi "da sempre"].
L'unico e ultimo che rimane in vita è Toshio. Ovvero Dio:
1. Al quale la figlia [Hotaru], miracolata, attinge, da sola, spingendosi verso la luce (come fa la scimmia che si aggrappa da sola alla madre), per salvarsi e morire.
2. Il quale prende la moglie [Akiè], se la carica su di sé, per portarla verso la luce (come fanno i gatti con i propri cuccioli, per la collottola della nuca) per salvarla e lasciar che sì che muoia.
Dio si comporta come fosse un ragno. In maniera ambigua. Come fosse il vero male. L'artefice di tutto questo. Il capo della fabbrica. Il solo e ultimo nemico.
Enemy.
-
Voto: 7,5/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta