Regia di Rachel Lang vedi scheda film
Ana e la vita: una coppia come tante. Né felice, né disgregata. Unita un po' per necessità, un po' per la curiosità di vedere come andrà a finire.
Non c’entra la celebre località termale tedesca. Il titolo è la ripetizione di un concetto molto presente in questo racconto: il bagno, il lavaggio, la liberazione da qualcosa che ti sta addosso e ti dà fastidio. Qualcosa che sa di vecchio e può essere pericoloso, come un’incrostazione nel frigo o un amore avvelenato. Ci vorrebbero due grossi spazzoloni, che ti ripulissero a fondo, mentre tenti di attraversare il mondo, lungo questo percorso esistenziale che non passa mai senza lasciare tracce, segni visibili sulla tua pelle. Come quelle macchie rosa sulla guancia, che Ana si porta dietro da tempo, e che ora sembrano essersi ingrandite. Tutto succede quando i vestiti che indossi non sono quelli adatti a proteggerti, perché non aderiscono al tuo corpo, non sono fatti su misura per te. Lì dentro ti ritrovi a disagio, come dentro ad una professione che qualcuno un giorno ti ha indotto a intraprendere, senza un vero perché. O un ragazzo che hai lasciato tanto tempo fa, e che ora vuoi rincontrare, assurdamente, come per soffrire ancora. Il paradosso autolesionista, in questo film dai toni studiatamente soffusi, è il cuore di un’avventura solitaria, in cui la protagonista cerca disperatamente la soluzione giusta, di fronte alle tante incongruenze della vita. Una di queste è una vasca non più adeguata alle esigenze di una nonna con problemi di mobilità, a cui farebbe tanto più comodo una doccia con sedile. Ana prova, in tutta autonomia, a rimediare. Non combinerà granché, e dal suo maldestro impegno nasceranno equivoci e delusioni. Gli errori a fin di bene sono la sua specialità: cadere e poi risollevarsi nel modo meno appropriato è il suo destino. Tuttavia, nel suo sguardo non si coglie né fatica, né rassegnazione. Ha il volto sereno e quasi impassibile di chi accetta senza complessi l’irrimediabile medietà di una realtà che solo un sorriso un po’ forzato può riempire di una parvenza di luce. Anche l’ironia è un palliativo da usare con parsimonia, evitando che lo scherno o l’umorismo turbino il quadro già precario di relazioni umane, in bilico tra gli affetti e il disincanto. Non si sta mai veramente insieme, non ci si comprende mai del tutto, neanche quando si condividono progetti o sventure. Questo sfiorarsi, per un fugace attimo, prima di scoprire di essere creature singole e separate, è la poesia in punta di dita che, come un sussurro delicato, solleva dolcemente l’anima di questo film, impedendo che la sua trama esile e leggera lo faccia degradare nell’inconsistenza. Un soffio, sotto la superficie di una quotidianità così così, in un’atmosfera ovattata che soffoca ogni possibile scintilla di gioia, è lo spirito giocoso che sdrammatizza ogni situazione smorzandone la serietà. Nulla è veramente grave, perché il mondo si richiude in sé stesso e tace, dopo aver emesso il suo mezzo grido. Alla festa non verrà nessuno, e al funerale non ci sarà posto per le lacrime. Partire è come restare, ritornare equivale a non essere mai andati. La morale è questa: il finale non c’è, perché manca la sostanza da riepilogare, impossibile riassumerla in una conclusione.
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