Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film
Álex de la Iglesia a mio avviso, con alti e bassi, è un gran regista che riesce a farci riflettere sulla società odierna passando attraverso il grottesco e la commedia, per evidenziare il lato oscuro e talvolta persino omicida che si annida nella civilizzazione e nelle buone maniere. El bar, proiettato fuori concorso alla berlinese di quest’anno, non è da meno.
L’inizio è folgorante. Vediamo nel centro di Madrid passanti ripresi a caso, ognuno con una propria storia colta in pochi istanti slegata e sconnessa dalle altre: una scorribanda di dialoghi al cellulare di un agente di commercio che vuole offrire la sua merce, di una donna elegante che confabula con una sua amica mentre si sta recando a un motel per un incontro elegante, e poi vediamo un barbone che viene ripreso da due netturbini, ma tutti, per un motivo o per l’altro, si ritrovano infine in un bar.
Dopo quest’inizio movimentato, noi spettatori possiamo trarre un po’ di respiro; facciamo conoscenza con il carattere un po’ burbero ma anche materno della proprietaria del locale, con la gentilezza del suo dipendente e via discorrendo. Ma appena un cliente esce dal bar, ecco che improvvisamente viene colpito da un proiettile alla testa e cade sull’asfalto.
Quelli nel bar rimangono stupefatti, e dopo qualche esitazione i clienti si accorgono che nella piazza non c’è più nessuno, solo il corpo ansimante che ha subito lo sparo. Dopo qualche esitazione uno dei netturbini esce fuori, ma immediatamente viene sparato alla stessa maniera. Ma chi spara? Un cecchino dall’alto? L’atmosfera si fa più inquietante, anche perché nel bar non c’è campo, e alla televisione non dicono nulla. In più i corpi ammazzati con le tracce di sangue sull’asfalto, nel frattempo, scompaiono, come se nulle fosse mai accaduto. Si fanno largo ipotesi su ipotesi: è forse un sogno, ma il sogno di chi? Forse nel bar c’è un terrorista e si cerca di colpirlo sacrificando anche gli altri clienti come è successo in Russia quando dei ceceni hanno invaso un teatro? Tutte queste ipotesi poi convergono sulla ricerca dell’eventuale colpevole all’interno, scatenando un vero processo tra i protagonisti del bar. Inizia così il gioco al massacro, dove ciascuno rivela i più segreti impulsi di sopravvivenza cercando di sopraffare gli altri, in cui la recitazione diventa sempre più teatrale e grottesca, con meccanismi di aggressione e di identificazione con l’aggressore.
Un film in piena coerenza con gli altri di De la Iglesia, molto bravo a tratteggiare la dimensione brutale che sorregge la patina di civiltà, come avviene in tanti altri suoi film, La comunidad, La chispa de la vida, Mi gran Noche ecc…
Qui i personaggi non possono uscire dal bar, e pertanto devono vedersela tra di loro per cercare di sfuggire da una situazione che ha del surreale. Troveranno una strada in cantina, giù per le fogne, perché proprio di questo si tratta, capire la natura umana del basso ventre, che non sempre ci regala l’eleganza artificiale della modernità.
Certo, il film è un po’ surcodificato, a partire dall’Angelo sterminatore di Bunuel fino ad arrivare ai tanti film sull’epidemia virale. Ma a parte questo rimane un buon film, che regala risate e riflessioni.
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