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Chi l'ha vista morire?

Regia di Aldo Lado vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Chi l'ha vista morire?

di hallorann
8 stelle

Parto con una premessa, scrivo del film grazie a Maghella, la cui opinione mi ha indotto ad acquistare il DVD di Lado (conoscevo solo il bellissimo trailer visto a Stracult). Altrove ho letto dei riferimenti che vengono in mente durante e dopo la visione di CHI L’HA VISTA MORIRE? e li confermo tutti.

 

Dunque questo giallo del 1972, qualcuno lo data al ’71, lo si può definire quasi seminale come direbbero i teorici di cinema. In precedenza c’era stato il capostipite ufficiale L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO del maestro Dario Argento, ebbene l’apertura sulle nevi francesi potrebbe richiamare il quadro innevato di Consalvi e la gabbia degli uccelli…Citazioni non mie ci tengo a ribadire, mentre MIO CARO ASSASSINO del’73 di Valerii mi è venuto in mente per un semplice motivo che con i DVD oggi, l’assassino è facilmente intuibile e i buchi illogici sono troppi da reputarlo un cult (come lessi su un vecchio FILM TV). In CHI L’HA VISTA MORIRE? innanzitutto il protagonista George Lazenby (dovrei ritrattare sull’averlo definito cane o qualcosa del genere confrontato con Daniel Craig) è decisamente più credibile di George Stoccafisso Hilton doppiato dal classico Sergio Graziani. E poi il fermo immagine della donna vestita di nero con la veletta non rivela l’assassino/a (secondo me). Le calli veneziane verranno ripercorse da Nicholas Roeg un anno dopo e pure una maggiore inquietudine a mio avviso, ma i riferimenti si fermano lì. E se vogliamo la doppia personalità di uno dei protagonisti anticipa quella del Gassman dell’altrettanto veneziano ANIMA PERSA di Dino Risi.  I rimandi ai futuri Argento e Avati ci possono stare ma è meglio considerarle assonanze, coincidenze, casualità. Diamo a Lado ciò che è di Lado. Un bel giallo, dignitoso e fatto bene senza essere per forza un cult. E’ probabile che la filmografia di Aldo Lado vada riconsiderata perché, a differenza di un altro abile artigiano del genere thriller Sergio Martino, non ricorre all’uso esasperato (e a modo suo efficace) di climax urlati e sadismi assortiti. Qui sono stemperati e dosati, la trama semina pochi indizi e come la polizia (stilettate ideologiche comprensibili per l’epoca) brancoliamo nel buio. Dunque ci rimettiamo nelle mani del protagonista Franco Serpieri e come lui intuiamo che il mostro che uccide le bambine con i capelli rossi (e l’indizio della catenina con la foto della donna rossa lo capiamo solo alla fine) è legato al triangolo sibaritico tra Ginevra Storelli, l’avvocato Bonaiuti e il mercante Serafian più le figure marginali e ambigue del figlioccio di quest’ultimo e del giovane amante Venier. L’innocenza dei bambini violata, con Nicoletta Elmi piccola musa del genere, sono apprezzabili e l’utilizzo delle nenie infantili da parte degli sceneggiatori e di Ennio Morricone sono a dir poco geniali. Oggi il sorprendente assassino verrebbe sgamato un po’ prima dell’apparizione frontale per la voce doppiata (il dubbio permane che in precedenza non lo fosse doppiato), uno dei difetti principali e imperdonabili di NON HO SONNO del solito Dario (le voci di Lavia e Zibetti). Lo scenario di Venezia fa il resto, grazie anche alla fotografia di Franco Di Giacomo e il cast da esportazione (e non) fa la sua bella figura, specie José Quaglio, Adolfo Celi e l’ubiquo Alessandro Haber.

 

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