Regia di Claire Denis vedi scheda film
Always alone, alone and blue...
Lallazione e primi passi... Growing up... L'alba dell'umanità...
Inerzia del Riciclo: urina e feci per acqua e cibo, e cadaveri per il compostaggio.
Riciclo della Speranza: sperma e grembo materno, colostro e montata lattea, menarca e sangue mestruale.
Speranza dell’Inerzia: worm-hole, tunnel infra-dimensionale, heaven’s gate, new eden.
Il container interstellare n.7, libera prigione spaziale (senz’ombra, nello specifico vettoriale, di thorne-nolaniani tesseratti) danzante in equilibrio lungo la retta traiettoria parabolica del...
...suo viaggio tracciato dalla Terra (che rimane in collegamento unidirezionale sempre più flebile grazie a fasci di trasmissioni radio concentrate: e un pensiero corre ai Pioneer ed ai Voyager...) alla stella che a suo tempo innescò il collasso gravitazionale, accelerando sino a raggiungere il 99 virgola “e rotti” % della velocità della luce nel vuoto, si “appresta” a cavalcare personalmente -{dopo aver espletato almeno in parte la sua missione inviando una navetta in missione semi-suicida: la morte di Boyse - una splendida Mia Goth [“Nymph()maniac”, “the Survivalist”, “A Cure for WellNess”, “MarrowBone”, “Suspiria”] - è abbastanza realistica e straziante, tanto emotivamente quanto concretamente - lacerazioni, stiramento, dilatazioni, dilaniamento, spaghettificazione -, e rispetto a ciò non si può non riandare con la memoria alle distorsioni del viaggio Oltre l’Infinito di David Bowman a bordo della capsula della Discovery riassemblata/ricostruita, assieme al suo occupante, nella camera rococò settecentesca nel Nessun Dove & Altro Quando}- l’orizzonte degli eventi che circonda la singolarità gentile (vale a dire non dilaniante le carni) del suddetto in accenno buco nero supermassiccio (ad oggi, il simile corpo celeste conosciuto più vicino al Sistema Solare dista poco più di 1.000 anni luce...) per ricavarne informazioni il più possibile dettagliate su eventuali fonti di energia “anti”-entropica [attraverso il teorico processo/meccanismo di (Roger) Penrose - dall’autore di “la Mente Nuova dell’Imperatore” e “la Strada che Porta alla Realtà” -, ovvero generando potenza attraverso la trasformazione di materia sacrificabile facendola transitare nell’ergosfera di un buco nero in rotazione] da sfruttare in qualche maniera (conoscere, comprendere, ricreare), o in loco o spedendo/portando i dati ricavati alla Terra.
A bordo, l’equipaggio-specimen di criminali redenti, dalla scienziata/ginecologa/capitano/cavallerizza (novella Europa: ma il satellite mediceo/galileiano di Giove è oramai distante anni luce) del dio-toro meccanico [Juliette Binoche (Godard, Carax, Malle, Kieslowski, Haneke, Ferrara, Gitai, Kiarostami, Cronenberg, Dumont, Assayas, Kore'eda), qui come al solito perfetta, generosa e completamente in parte], passando per il pilota e il personale tecnico di bordo, sino alla bassa manovalanza: i donatori di liquido seminale e le violate posseditrici di ovaie ed utero.
- “Non è facile entrarti dentro, vero?”
- “Il mio corpo mi obbedisce.”
Questo magnifico film di Claire Denis (“Chocolat”, “S'en Fout la Mort”, “Nénette et Boni”, “Beau Travail”, “Trouble Every Day / Cannibal Love”, “Vendredi Soir”, “l’Intrus”, “White Material”, “un Beau Soleil Intérieur” e il prossimo “Feu”: gli ultimi due, assieme ad “High Life”, girati avendo come protagonista proprio Juliette Binoche, la dottoressa-Medea di cui sopra), da lei scritto col fido collaboratore di sempre alle sceneggiature Jean-Pol Fargeau - e il supporto in aggiunta di Geoff Cox ("Earwig"), Nick Laird, Andrew Litvack e Aurélien Barrau, fisico e filosofo [Meccanica Quantistica (interazioni elettromagnetica, debole e forte del Modello Standard) + Relatività Generale (forza gravitazionale) = Gravità (e Cosmologia) Quantistica / Teoria del Tutto] - è tanto sorretto da un (im)portante iperrealismo (il sottofondo/sottotesto scientifico e politico è sì iperbolico, ma anche plausibile) ben strutturato quanto affossato da una noncurante naïveté: partendo dall’hardware - retrofuturistico (impossibile, per certi versi, non pensare al veicolo spaziale a mascherata/camuffata guisa (ché altrimenti il pavimento risulterebbe essere la parete di fondo sul retro dell'abitazione, accanto ai getti dei motori) di “tipica casa...
...giapponese” in “Whispering Star” di Sion Sono: nulla di più diverso, ma “romanticamente” simile: e “High Life” è anche un viaggio dentro una House verso una Home) e in parte quasi steampunk - e passando per il software (alcune schermate di computer sembrano utilizzare...
...interfacce di sistemi operativi degli anni ‘90) messi a mandare avanti il cargo squadrato - elementi costitutivi che soffrono di questa scelta, cercata/voluta/ponderata o del tutto collateralmente casuale, rallentano/ritardano l’innescarsi della sospensione dell’incredulità -, si giunge a dover considerare componenti, fattori e situazioni più specifici, quali ad esempio il mero - ma rispettoso, con gesto umano, dei compagni di viaggio - spreco di tute spaziali - le quali, a latere e per inciso, non riuscirebbero a proteggere nemmeno un apicoltore da uno sciame di moscerini della frutta, figuriamoci poi se esposto al vuoto dello spazio - utilizzate come sudari per i corpi che, gettati fuori bordo, “cadono” verso il basso (e no, non si tratta di meccanica newtoniana e di cinematica, perché non siamo s’un treno che, sfiorando il principio di equivalenza, corre lungo un piano in un’atmosfera: un corpo lasciato andare alla deriva fuori da un portello di un’astronave “ferma” o lanciata a 300.000 km/s non “cade schizzando via” come una palla da tennis lanciata dal finestrino di un vagone di un treno in corsa, ma si comporta come una palla da tennis lanciata in aria all’interno di quello stesso vagone), e ancora, un’immagine in particolare: quella di un guanto di tuta spaziale che galleggia… in presenza di “gravità” artificiale! (♥)
Tutto ciò significa una non accantonabile mole di illogicità psico-comportamentale, fallacia tecnico-ingegneristica e inesattezza fisico-balistica, che pure, però, viene inglobata e assimilata dal resto del film, che ben si regge sulle proprie filosofiche gambe: non sarà “2001: a Space Odyssey”, e s’attesterà come una improbabile via di mezzo fra “Solaris/Stalker” ed “Interstellar”/“Ad Astra”, ma di certo siamo ben lontani dalle sterili e/o retoriche elucubrazioni di un Aronofsky/Iñarritu/Refn (o "the MidNight Sky"...). E poi ingloba "In the Land of the Head Hunters" (1914) dell'etnologo Edward S. Curtis...
(♥) La “gravità” artificiale di “High Life” è ottenuta non grazie alla forza centrifuga (si pensi, per semplicità, al tamburo rotante di “2001: a Space Odyssey”, che per funzionare correttamente dovrebbe essere molto più grande), ma per mezzo di una propulsione continua (ricordiamo che l’astronave cargo/container n. 7 di “High Life” non ruota, ma persegue la sua traiettoria in costante linea “retta”), probabilmente grazie a propulsori ionici, che permette al suo carico (persone, oggetti e vegetazione à la “Silent Running”) di ricevere una persistente ed ininterrotta accelerazione lungo l’asse di spinta, senza tra l’altro controindicazioni quali l’effetto Coriolis. Può darsi quindi che quel sospeso a mezz’aria guanto levitante in “assenza” di gravità (♦) sia una reminiscenza analettica dei primi mesi di viaggio (il film inizia ad un lustro dalla partenza e termina tre altri lustri dopo), quando la velocità era ancora ben distante da quella di crociera - pur subluminale, ma di poco - raggiunta - assieme alla “piena” gravità - una volta abbandonato il Sistema Solare.
(♦) Nemmeno la ISS opera in “assenza” di gravità, ché a quella quota è pari a circa il 90% di quella presente sulla superficie del pianeta: il campo gravitazionale terrestre la attira continuamente a sé (2 km/mese di decadimento orbitale) e l’assenza di peso è data dalla caduta libera (350/400 km di altitudine in media sul livello del mare, 27.000 km/h, 15.5 orbite al giorno), corretta dai giroscopi di controllo del momento angolare e più saltuariamente da piccole propulsioni periodiche che la riportano alla giusta quota operativa e “stabile”.
Finale a tendina-sipario che, utilizzando l’installazione “Contact” del 2014 di Olafur Eliasson, ricorda il sinergico lavoro svolto da Denis Villeneuve e dal production designer, suo sodale collaboratore, Patrice Vermette per la realizzazione del punto di contatto umano-alieno in “Arrival” (su soggetto di Ted Chiang) mettendosi in sintonia con il fotografico minimalismo percettivo delle opere create da James Turrell: qui (e le scenografie sono di François-Renaud Labarthe) una linea d’orizzonte che si muove e cresce, che (s)confina e collega, relazionando l’osservatore in loco con l’orizzonte degli eventi si apre, dilata e spalanca svelando la nuda singolarità e, al di là, un altro spazio-tempo potenziale (cosa, chi, dove, quando, come, perché), là uno schermo cinematografico di colore puro che, dispositivo simil-differente, attua la medesima funzione.
Fotografia di Yorick Le Saux (Ozon, Assayas, Giannoli, Zonca, Guadagnino, Gerwig, Desplechin e “Only Lovers Left Alive”) per gl’interni girati in studio a Colonia (Germania) e di Tomasz Naumiuk per gli esterni girati all’aperto (ferrovia, ponti/arcate/portali, boschi, torrenti, cani) nel nord-est della Polonia. Montaggio di Guy Lecorne (con Bruno Dumont e Guillaume Nicloux dagli inizi e da una decina d’anni al lavoro sul taglia e cuci anche per Claire Denis).
Musiche di Stuart A. Staples (qui giunto alla quinta colonna sonora scritta per Claire Denis), bellissime, a “partire” dalla “Willow” (dedicata al personaggio della figlia - condannata alla prigione a vita di seconda generazione da innocente in senso letterale - interpretato dalla semi-esordiente Jessie Ross, che reincontreremo in “the Third Day” nel ruolo di Epona) che risuona sul finale del film e prosegue inoltrandosi lungo i titoli di coda [il videoclip è costituito da found footage - materiale omesso proprio dal montato ultimo dell'opera madre e relativo alla sequenza conclusiva (il film termina un po' più asciuttamente/seccamente) - e da estratti appartenenti alla video-installazione di Eliasson], scritta da Staples e Dan McKinna ed eseguita dagli stessi TinderSticks con il parlato/cantato di Robert Pattinson (già Lawrence d’Arabia per il Werner Herzog di “Queen of the Desert” – oltre che in Cosmopolis, the Rover, Maps to the Stars, Life, the ChildHood of a Leader, Good Time, Tenet, “the Devil All the Time” –, ha poi visitato altri avamposti/zone: in metropoli compartimentato in limousine con “Cosmopolis”, in foreste pluviali con “the Lost City of Z”, in altri deserti con “Waiting for the Barbarians” e in tempestose isole remote al largo delle atlantiche coste del New England con “the LightHouse”), che sforna un’ottima prestazione generale.
Willow, are we rushing forward, are we standing still?
Willow, does this love hold a destination?
Willow, do you feel the wind run through your hair?
Willow, do you feel the sun upon your back?
Da segnalare anche la versione ninna nanna country della “Always Alone” scritta da Ted Daffan e portata al successo da Johnny Cash eseguita da Mia Goth a cappella.
Maternità, paternità, emancipazione dal grembo-culla-prigione, i discendenti delle cavie, de(gl)i (ir)redenti, dei graziati (anche in senso malickiano), dei reietti, degli espulsi dal giardino dell’eden in parziale rovina: la madre che l’ha generata scappava in treno dallo sprofondo, il padre che l’ha accompagnata e guidata è sempre stato al limine fra due mondi, la figlia raggiunge assieme a lui la destinazione…
Lallazione e primi passi... Growing up... L'alba dell'umanità...
Always alone, alone and blue...
* * * * (¼)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta