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High Life

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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La recensione su High Life

di Furetto60
7 stelle

Opera prima di Claire Denis. Ottimo esordio, non solo fantascienza.

Nell'incipit,un cosmonauta intento nello spazio ad aggiustare il pannello esterno di una navicella spaziale e il pianto di una neonata a squarciare quel silenzio: sono i soli superstiti , diretti con l'astronave verso un buco nero. In un lunghissimo flashback, il film ci racconta l'antefatto: tutti i viaggiatori erano degli ex condannati a morte, che per evitare la fine, hanno commutato la pena e sono stati spediti alla deriva nello spazio profondo. Nell'astronave c’è una serra, che consente la coltivazione di ,frutti che ottemperano alle necessità di cibo, A capo della missione c’è la dottoressa Dibs, alias Juliette Binoche, incaricata di compiere delle ricerche sulla fertilità, invisa a tutti i passeggeri, che la chiamano con disprezzo“strega”. I rapporti tra i viaggiatori sono tutt'altro che idilliaci, tra beghe e litigi, ben presto capiranno, che è un viaggio di sola andata, nonostante le droghe propinate a gò gò, la nave diventa una polveriera pronta a esplodere, costantemente scossa da pulsioni morbose e a tratti distruttive. In questo film pregno di erotismo eppure di sesso quasi mai mostrato, la reclusione in un’astronave isolata nello spazio e nel tempo, diventa quindi un escamotage narrativo per riflettere sul “primum movens” che ha dato vita all’esperienza umana. Il sesso come piacere, auto procurato, condiviso, rubato e come generazione della vita, che però non sempre è sovrapponibile all'amore. Questi uomini e donne dalle esistenze difficili, pur essendo compagni nella più grande delle sfide, non sono in grado di amarsi, né probabilmente di amare se stessi. L’unica forma di amore presente nel film è quella di un padre per una figlia. L’unico amore vero possibile nell’isolamento di una prigione spaziale è quello, scevro da ogni implicazione erotica, Con un passato burrascoso che a tratti sotto forma di incubi, continua a travagliare i nostri “eroi per forza”, una situazione presente dolorosamente asfissiante e una prospettiva futura piena di troppe incognite, non c'è spazio per l'amore. Durante l'infernale viaggio, alcuni muoiono, altri scelgono il suicidio. Una sola nuova vita è nata sull’astronave, attraverso una fecondazione “forzata”, con il seme di tale Monte, il quale sopravvive a tutti loro insieme alla figlia, fino a che diventa donna, lei diventa la quintessenza dell’amore e con lei infine sceglierà di perdersi nel grande vuoto, lanciandosi dentro il buco nero. Claire Denis ha lavorato come assistente con registi come Costa-Gavras, Jim Jarmusch, Wim Wenders. High Life è il suo primo film, un' opera intrigante, una profonda riflessione sulla natura dell'animo umano, nella mimica e nei prolungati silenzi è ravvisabile la natura filosofica di un progetto, che adopera strumentalmente il genere sci-fi, per raccontare un’umanità derelitta,allo sbando, senza futuro e con un passato da dimenticare. Il personaggio di Robert Pattinson, alias Monte di cui sopra,è fondamentale e attraverso la sua silente imperturbabilità ci caliamo in una realtà sospesa a caccia di interrogativi, sui lati più rimossi e oscuri del desiderio , sulle ricadute della componente “animale” del sesso e su tutto ciò che vi gravita intorno: e poi il tema della solitudine, quella dell'uomo di fronte all'immensità e attanagliato dai dubbi su chi sia e dove è diretto. Il film, fatte le debite proporzioni, si pone sulla scia di capolavori come Alien o, “2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, ed è chiaramente anche debitore del” Solaris” di Tarkovskij. High Life è un film dal budget veramente ridotto, ciononostante funziona. La suggestiva fotografia di Yorick Le Saux, insieme alle colorite scenografie di François-Renaud Labar, allestiscono una realtà pulsante e al contempo anche fredda e asettica. Le interpretazioni del cast sono tutte convincenti, e una menzione speciale merita la sensualissima Juliette Binoche;il design dell’astronave e l’essenziale orizzonte degli eventi concepiti dall’artista Ólafur Eliasson, costituiscono un valore aggiunto a un film insolito, non perfetto e a tratti disomogeneo, che però affrancandosi ed elevandosi dalle solite e banali tematiche, affronta argomenti esistenziali di notevole spessore.



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