Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Aspetto Jarmusch un po' come fa Paterson seduto sulla panchina a fissare il vuoto, almeno dal 2005, dai tempi dell'ottimo "Broken Flowers". Lo aspetto un po' come si fa con l'ispirazione, ma niente, passano le stagioni, ma di Jim all'orizzonte non c'è manco l'ombra. "Paterson" è un film patetico e sonnolento, una specie di haiku cinematografico che a differenza del breve componimento poetico giapponese, dura la bellezza di due ore. Incredibile. Centoventiminuti di nulla, con una coppietta del Mulino Bianco, lui catatonico guidatore di autobus e (presunto) poeta e lei (bellissima) psicotica in uno dei ritratti femminili più irritanti, finti e stupidi del Cinema recente. Ah, c'è anche un cane, orrendo, che però fa l'unica cosa giusta di tutto il film. Non riesco proprio a capire dove voleva arrivare, Jarmusch, con un film come questo: io capisco la poesia, la Bellezza e tutte quelle cose lì, fondamentali e importanti, ma trattate così suonano stucchevoli, belline, carine, come le inquadrature, i personaggi, che si muovono in una Paterson pulita e fiabesca, fra storielle minori e il solito bar con le sue "mosche" strambe. Il tutto ripetuto per sette volte, quanti i giorni della settimana. Un supplizio. Un film che potete lasciare in sottofondo come fosse il suono di una cascata e fare altro, che ne so, cucinare, fare yoga, un cunnilingus, giocare a carte, tanto quando rialzerete la testa per seguirlo di nuovo, non vi sarete persi nulla di importante. Per quel che mi riguarda, la poesia è altra roba e se ce ne trovate qui dentro, sono problemi vostri. Due cose sole sono interessanti: gli spunti letterari che offre (tanto al chilo) e la faccia di Adam Driver che mi ha ricordato quella di Townes Van Zandt: sarebbe perfetto per interpretarlo, ma sul grande texano un film non lo faranno mai. Vado a finire yoga. Saluti.
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