Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
il poeta dell'assurdo
Un film (intimamente) in bianco e nero girato a colori, per confermare quanto l'esistenza o, almeno, quella sua estesa parte che fa pesantemente volume, sia fondamentalmente poco o per nulla emozionante, totalmente deprimente nella sua sconcertante piattezza.
Quanto sia, nella sua profonda essenza, assolutamente priva di senso.
Di quel senso che tocca al singolo riempire per regalarle un'identità, attribuirle una specialità, magari riuscendo perfino a vestirla di un'unicità tutta sua che la renda degna di essere vissuta.
E allora c'è chi scrive terribili poesie senza rima, chi aspetta il momento giusto nell'intera giornata per sferrare la consueta mazzata alla cassetta della posta e chi si reinventa di continuo pur mantenendo un proprio inconfondibile tratto distintivo.
L’esistenza sempre uguale a se stessa (salvo qualche piccolo imprevisto che sconquassa ma non troppo il disegno a monte), magnifica eppur noiosa, come il singolare spettacolo offerto da una cascata immersa nel quotidiano paesaggio urbano, che ripete all’infinito il suo strabiliante salto e che gli occhi abituati ad osservarla nella sua raggiante immutabile evoluzione quasi non distinguono più, sebbene mantenga inalterata quell'aura di prodigiosa eccezionalità da mozzare (inevitabilmente) il fiato.
Film che è stralunata, immensa triste gioia.
Il cane (che ha capito tutto) il suo elemento più vivace, la sua perla più preziosa, la nota che non stona nella fragile armonia di questa straniata ballata sussurrata, in perfetto equilibrio tra lacrima e risata.
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