Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Paterson è anche e soprattutto una pellicola sul tempo, quello del racconto cinematografico, quello della vita quotidiana, con le sue ripetizioni, le attese, le improvvise accelerazioni. Un tempo ciclico e frammentato, fatto di segmenti che si incastrano come i versi di una poesia, in quella routine che diventa lirica, una volta trasformata in parole, che Paterson scrive sul suo quaderno, nei momenti in cui l’ispirazione arriva e lo porta via con sé. Jarmusch costruisce questa quarta dimensione attraverso i perimetri non lineari del film, un luogo mentale e visivo dove si amalgamo i pensieri e le emozioni del protagonista e le immagini fluide della città in cui vive e che attraversa ogni giorno alla guida di un autobus. Poi la casa in cui vive, con una donna e un cane, nell’ammassarsi degli attimi di una vita normale, lenta, in cui lo spirito artistico della compagna rielabora e scompiglia il vissuto comune in nuove prospettive, bizzarri progetti, geometriche innovazioni. In questo scorrere, tra calma e deriva, ci saranno incontri e graduali sovrapposizioni di vicende umane, un galleggiare sulla superficie dell’essere, dove ci si immerge attraverso il valore aggiunto di poemi segreti, che svelano quel mondo nel momento stesso in cui da esso nascono. Jarmusch compone una delicata elegia del vivere, in cui il baratro dell’ordinario è anche una possibile protezione dalla violenza di ritmi frenetici e asfissianti, la casa è rifugio ma anche prigione e la libertà risiede nell’atto creativo. La distruzione delle poesie di Paterson da parte del suo cane non potrà che portare nuova linfa, sotto la forma di un quaderno ancora da aprire, le cui pagine bianche saranno le stanze mentali in cui decorare, attraverso le parole, il passare delle ore e il loro ripetersi. Notte dopo notte. E risveglio dopo risveglio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta