Regia di Radu Jude vedi scheda film
La prigione della malattia, vista dall'angolazione obliqua dei corpi che non possono più andare dietro alle emozioni.
Stanze. Vedute rettangolari, chiuse e ferme come quadri. La lontananza è solo prospettiva, un’illusione di profondità racchiusa nella cupa trasparenza di un acquario. Il romanzo autobiografico di Max Blecher introduce la storia con un soffocante gioco di interni, di locali ospedalieri attraverso cui si snoda un sentimento di attesa e prigionia, un senso di imminente disumanizzazione del corpo, che diventerà ben presto inadatto ad ospitare l’anima. Se il libro distoglie lo sguardo da quel guscio nel contempo fragile e pesante, roso dalla tubercolosi ossea e racchiuso nella spessa corazza di un gesso, il film lascia che quella zavorra domini la scena, ancorandola alla fissità di una vita che conosce solo la dimensione orizzontale dell’allettamento, la negazione di ogni leggerezza, compresa quella dell’amore. La carne è morbida solo perché dolente e gonfia di ascessi: è la natura animale che soffre, impregnata dei suoi liquidi mortali, mentre la medicina la rende asciutta e rigida, priva di volontà, immobilizzata in un’artificiosa pace che deve suonare come una promessa di guarigione. Di fronte a questa condanna, le pagine scritte dall’autore scelgono di volare via, fuori dalle finestre, dentro le strade, sopra l’orizzonte del mare; le immagini del regista limitano invece il viaggio al mondo dell’immaginazione e del ricordo, dello studio e della riflessione, dove la bellezza non è una suggestione fresca ed immediata, perché è sempre filtrata dalla distanza fisica tra il sé e l’altro. L’impedimento è il punto di arresto della normalità e il punto di partenza di una sfida che deve costruire la realtà su un supporto diverso dalla terra che si calpesta con i piedi. Emmanuel, studente di chimica ricoverato in un sanatorio sul Mar Nero, deve imparare a fluttuare a mezz’aria lasciandosi trasportare dagli eventi presenti e passati: dagli incontri forzati, ma fantasiosi, con il popolo di quell’appartato purgatorio, così come dalle letture delle poesie e delle opere filosofiche che frantumano la concretezza, per restituirla sotto forma di pensiero puro, indifferente al male di cui non si conoscono le cause e gli sviluppi Il linguaggio cinematografico raffigura il distacco della mente con un impianto teatrale, in cui un ambiente anonimo ed inerte ospita impassibile i tentativi di fuga delle parole fuori luogo, dei gesti che quasi mai vanno a buon fine. Fatica è riempire una cornice vuota senza avere libertà di movimento. Tristezza è non poter alzare la testa per vedere verso dove porta quel tragitto strano, in cui non si è più al posto di guida.
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