Regia di Eiji Uchida vedi scheda film
Lowlife Love (Gesu no ai) di Eiji Uchida offre lo spaccato autoironico e (forse anche troppo) cinico di un sottobosco, quello del cinema indipendente giapponese, popolato da personaggi variamente laidi e disgustosi che tirano a campare mirando ciascuno al proprio obiettivo.
Tetsuo è stato un regista promettente: ha diretto un film di nicchia, uno solo, intitolato "La scrofa", che ha ricevuto un premio quindici anni addietro. Poi niente altro.
Da allora prova a lucrare su quell'unica riga degna di nota del proprio curriculum, e a tirare avanti con i guadagni ottenuti da una scuola di recitazione messa su con il fedele amico Mamoru, spillando 10 mila yen al mese agli aspiranti attori che vi si sono iscritti nella speranza di prender parte a quella sua opera seconda che potrebbe non arrivare mai. Nel frattempo, a quasi quarant'anni, vive da mantenuto a casa della madre, con la sorella minorenne e soprattutto la pensione del defunto padre, in una stanza da teenager nella quale campeggiano i manifesti dei suoi film preferiti, Easy Rider e Back to the Future, e la foto del suo autore di riferimento, John Cassavetes, con la quale si intrattiene di tanto in tanto in conversazioni immaginarie.
Lowlife Love (Gesu no ai) di Eiji Uchida offre lo spaccato autoironico e (forse anche troppo) cinico di un sottobosco, quello del cinema indipendente giapponese, popolato da personaggi variamente laidi e disgustosi che tirano a campare mirando ciascuno al proprio obiettivo. "Lowlife", appunto: farabutti. Attorno al ruolo centrale di Tetsuo, alla sua passione nata da bambino guardando il proiettore accendersi e sentendo le bobine girare, trasformata con il tempo in una lotta quotidiana per continuare a bighellonare a vita dietro la foglia di fico del non vendersi alla grande industria, Eiji Uchida, che ha scritto, diretto e montato, costruisce un microcosmo nel quale regnano depravazione ed assenza di morale: con registi (Tetsuo per primo) che, ognuno seguendo una propria tattica e approfittando di meriti artistici reali o millantati, puntano a portarsi a letto le attrici; con attrici che, trovatesi costrette a diventar parte del meccanismo, si prestano ad esserne oggetto oppure imparano a rovesciare la situazione in proprio favore; e con produttori con pochi soldi ed ancor meno scrupoli che cianciano di grandi battaglie contro il potere e poi si fanno amica la yakuza.
Coerentemente finanziato dal produttore Adam Torel attraverso un'operazione di crowdfunding, proprio a riprova delle difficoltà economiche in cui l'industria cinematografica indie nipponica versa, e suddiviso in quattro tempi che sono poi le quattro stagioni, Lowlife Love è una commedia nera che non inventa nulla ma fornisce il quadro tutto sommato credibile e amaro di un mondo dove tutto, per costituzione, è finzione e dove tutti, non certo solo gli attori, fingono di essere qualcosa di diverso da ciò che realmente sono; con il merito di avere almeno una sequenza da applausi (quella nella quale un'attrice si fa leggere al telefono la filmografia del regista con il quale si è appena appartata per sapere se vale la pena concedersi, liquidandolo poi in un attimo quando apprende che è fuori dal giro da anni) e la capacità di riservare per l'ultimo fotogramma un ultimo ghigno che sa di sberleffo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta