Regia di Philippe Grandrieux vedi scheda film
La ricerca ossessiva di una persona spinge a trovarne un'altra, anch'essa ossessionata da situazioni in grado di scuotere devastazioni interiori.Più che una vicenda, seguiamo dei corpi; anzi parti di essi:carne vera, graffiata e ferita, arrossata, in alcuni casi disfatta dal tempo. L’immagine, ogni suo ostinato dettaglio, ha la meglio sulla parola.
Lenz ha vissuto in Inghilterra ma torna a Parigi alla ricerca di Madeleine, di cui ha perduto le tracce, circostanza inquietante che lo mette in ansia.
Con l’aiuto del suo "fumato" amico Louis, nel cercarla si imbatte nell’infermiera triste Hélène, giovane e bella donna, sposa amata ma insofferente, che soffre per un grave lutto familiare occorso, e per questo si lancia in un vortice masochista di piaceri forti ed incontri sessuali in luoghi e situazioni molto particolari, convinta di raggiungere in tal modo un guado che la allontani da ricordi e pensieri troppo dolorosi: dimenticare il dolore mentale, dei ricordi devastanti, con il dolore fisico della sottomissione incondizionata.
Una circostanza, peraltro non molto fortuita, la metterà in contatto con Lenz, mentre seguiamo anche contemporaneamente i particolari intimi della relazione complicata e divorata da gelosia e risentimento che lega l’amico Louis alla bella cantante Léna.
Non c’è una vera storia, demarcata da connotati certi e puntuali, che legano le persone che si incontrano, che si cercano, si desiderano e si fanno del male ricercando piaceri fisici che sostituiscono soddisfazioni e serenità ormai date per spacciate.
Oppure, se c’è una storia, non è per nulla semplice percorrerne il sentiero, appena tracciato e disseminato di piste alternative e talvolta, almeno apparentemente, di svolte apparentemente fuorvianti, ma in fondo necessarie.
Il cinema, ostico ed affascinante, complesso e magnetico di questo autore complesso, inquieto ma mai veramente eccessivo, nervoso o irritante, e che un po’ ormai possiamo dire di conoscere - viste tre delle sue opere più note - pur nella complessità di ciò che vuole raccontarci e rappresentarci, non ha mai lasciato spazio a soluzioni narrative semplici e lineari, intuitive e razionali: a Grandrieux interessa più che altro il percorso e l’evoluzione mentale di una o più vicende o percorsi personali che ad essa si intrecciano ed intersecano, delle singole, intimamente problematiche esistenze, e come un dio osservatore dei disagi che ci scuotono e tengono vivi, il cineasta sonda emozioni estreme e derive spesso masochistiche a cui giungono, come inevitabile destinazione, vite incerte e provate, spesso devastate, sopraggiunte al bivio di un baratro che pare senza uscita.
Più che una vicenda, seguiamo dei corpi; anzi parti di essi, perché le inquadrature sono così appiccicate, legate indissolubilmente ai corpi, che pare di potercisi sovrapporre, anche da spettatori in qualche modo distanti e osservatori distaccati per necessità.
La ripresa sceglie per minuti interi di mettere a fuoco il particolare di corpi per nulla plastici o idealizzati, anche quando si tratta di persone giovani e attraenti: si tratta di carne vera, graffiata e ferita, arrossata, in alcuni casi disfatta dal tempo; oppure il contrasto ancora vitale e forte di una giovinezza vigorosa che non esclude escoriazioni ed afflizioni, spesso provocate da un desiderio punitivo che per lo più fa parte, almeno per alcuni dei nostri individui, di un percorso di ricerca, di consapevolezza e di maturazione, quasi di liberazione.
Lo sfondo parigino pastoso e quasi perennemente sfocato fa parte di una coreografia che si intravede solo di sfuggita, ma che è impossibile escludere da un contesto che non vuole quasi mai aprirsi ad inquadrature complete anche solo di un corpo nella sua interezza.
Una storia raccontata attraverso parti del corpo, quelle che meglio di qualunque altra situazione, parola o discorso, raccontano la primarietà di un disagio che si cerca di combattere ricercando nuovi traguardi di emozione, ed in cui questa circostanza travalica il senso del bello e del brutto, per assumere valori totali e totalizzanti.
Personaggi appaiono improvvisi sullo schermo come fantasmi, ma la loro consistenza è talmente corporale e concreta, talmente ravvicinata nelle pieghe più indiscrete delle reciproche intimità, che probabilmente questo divario antitetico tra personaggi concettualmente eterei e ipotetici, e la carnalità impudica che li rappresenta, costituisce l’elemento a mio giudizio più forte e interessante di un lavoro complesso e per nulla semplice da assimilare, accettare, amare incondizionatamente.
Come per Sombre, Un lac, e La vie nouvelle, Grandrieux si tiene distante da compromessi ed edulcorazioni, da sentimentalismi e da dialoghi che, specie in questi contesti, potrebbero devastare la complessità del discorso.
Senza cercare mai ed in alcun modo di rincorrere ad eccitare nessun istinto che induca lo spettatore a compiacersi e a trovare conforto o consolazione in una eventuale celebrazione di uno stato d’animo in cui è quasi impossibile riconoscersi: qui prevale l’istinto di sopravvivenza, che ci spinge a percorrere boschi tenebrosi alla ricerca del piacere sofferto e doloroso, la gelosia che ci rende proprietari uno dell’altro, despoti e sottomessi in ruoli opposti e cangianti.
E nonostante Malgré la nuit sia forse il film più percorso da dialoghi, tra i quattro sin ora da me affrontati in capo all’autore, l’immagine, il suo ostinato dettaglio, anche qui, miracolosamente, ha la meglio sempre e comunque sulla parola, che rimane una sfaccettatura eventuale, ed un modo alternativo, ma non obbligatorio, di esprimersi, o di aiutarsi a farlo, nei rari momenti un cui il corpo non può riuscirci con la stessa naturale efficacia di molti tra i grandi momenti di questo film disturbante certo, ma anche magnetico.
Parlando di corpi, mi piace ricordare la potente appariscenza, la bellezza reale, malmenata, scarnificata, ma sempre ugualmente pura, di Ariel Labed, una delle migliori attrici europee oggi in circolazione, amata incondizionatamente da registi dalla spiccata personalità (il greco Lanthimos tra questi) e in grado di stupirci ogni volta con scelte per nulla scontate che privilegiano il percorso autoriale alla fama e alla notorietà da facile incasso.
Accolto in modo contrastante dalla critica, (e avrei proprio voluto vedere il contrario!!), forti perplessità anche sul fronte più incline a certi percorsi più alternativi di narrazione e rappresentazione, vedi i “Cahiers” - Malgré la nuit va necessariamente visto e rivisto, meditato e studiato, se deve essere assimilato come merita: tante e tali sono le sfaccettature, gli enigmi, le interpretazioni eventuali e possibili, soluzioni ed alternative che mai e poi mai la vicenda ci aiuta ad esplicitare con deliberata chiarezza, ma con deliberata convinzione a farci creare ad ognuno il suo film.
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