Regia di Anne Zohra Berrached vedi scheda film
Vita, dignità della vita, responsabilità per una vita... Argomenti vecchi che non passano mai d'attualità.
L’argomento trattato non è nuovo, anzi. E non è inventandosi la contraddizione tra il comico mestiere della protagonista con il tragico della sua vicenda personale che innalza il livello di tensione presente nel film. Piuttosto, la regista tedesca Anne Zohra Berrached accompagna lo spettatore nel drammatico percorso dei due giovani genitori dosando egregiamente lo energie emotive, misurando bene i passi, scegliendo di volta in volta e fattori interni alla coppia (e ai due singoli, nella coppia) con quelli esterni (la reazione dei loro amici, della amorevole madre di lei, della piccola figlia che già hanno e che, in un passaggio significativo, si dichiara contraria ad accogliere il fratellino.
Astrid (Julia Jentsch) è incinta di diversi mesi di una creatura alla quale viene diagnosticata in un primo momento (già tardivo rispetto ad una eventuale pratica di aborto “normale”) la Sindrome di Down. Lei e il suo compagno Markus (Bjarne Mädel), dopo un primo attimo di scoramento, decidono comunque di tenere il bambino, e con buona volontà si portano avanti col lavoro cominciando a frequentare centri in cui si organizzano attività di vario genere per ragazzi affetti dalla stessa patologia. Quando però, poco dopo, al bambino viene trovata una complicazione cardiaca di non poco conto (i dottori parleranno di un’operazione a cuore aperto – e fermo – dopo una sola settimana dalla nascita, e di altri interventi di lì a breve con esito naturalmente incerto), la crisi rinasce. Markus e Astrid si trovano in disaccordo sulla decisione, naturalmente il volere prevalente è quello della madre.
E qui, da quando la madre prende irrevocabilmente la sua pozione, la sfera emotiva dello spettatore comincia ad essere messa a dura prova… Il parallelismo di ciò che succede alle due creature, la madre ed il piccolo, le immagini intra ed extra uterine di questo infinito amore che corre sui suoi binari segnati, la scena dell’abbraccio tra i due una volta “risolta” la faccenda clinica, è di una intensità rara anche in presenza di un argomento che non è nuovo, anzi… ma che, ponendoci di fronte al mistero più grande che è quello della vita (e del dare la vita), non può non farci commuovere profondamente.
La genuinità degli attori, la semplicità non banale della regia, la creazione del contesto in cui si svolge la vicenda hanno attribuito a questo”24 Weeks”, a mio avviso giustamente, una serie di riconoscimenti in àmbiti prestigiosi (tra i quali il Festival di Berlino). Lavoro interessante, e regista da tenere d’occhio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta