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Non è un paese per giovani

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Non è un paese per giovani

di scapigliato
7 stelle

Magari non è la Cuba magica di Augustín Villaronga (El Rey de La Habana, 2015), ma quella raccontata da Giovanni Veronesi in Non è un paese per giovani non ha nessun cliché né stereotipi vari. Se la spiaggia paradisiaca dove i protagonisti vogliono costruire, ahimé, un ristorante con Wi-Fi – questo sì che è un dettaglio inquietante – è una spiaggia da cartolina è perché è così nella realtà. Cosa facciamo? Giriamo un film ambientato a Cuba a Tirrenia? O A Cuba, sì, ma sulle spiagge più brutte dell’isola – se ce ne sono?

Io penso invece, che Giovanni Veronesi abbia ritrovato il suo piglio migliore dopo tante commedie che, pur apprezzabili, non si sapeva bene dove andavano, e che guardavano un po’ a quell’Italia bonacciona e sognante che infine sedava il racconto. Qui invece, Veronesi è stato sincero. Ha raccontato una storia così come doveva essere raccontata, fotografando Cuba se non con autenticità sicuramente con onestà, e ha messo in campo una serie di attori perfettamente in parte. Giovanni Anzaldo, maledetto e autolesionista è trascinante nel suo ruolo titanico e romantico, e se per molti sofisticati questo è un cliché allora, scusate, non dovremmo più raccontare questi  personaggi? Mai più un poeta, mai più un avventuriero, ma più un tossico, mai più un libertino perché sono cliché? Ma la letteratura, il teatro e il cinema si nutrono di cliché, di tipi e narrazioni topicizzate, è per questo che continuiamo a leggerle e a guardarle.

Per non parlare poi di Filippo Scicchitano che mai aveva abbassato la guardia, ma che con Non è un paese per giovani torna fresco e totalmente a suo agio come all’epoca si Scialla! (2011) e Un giorno speciale (2012). A sprazzi ricorda pure Alberto Sordi – guardatevi la scena del funerale o la notte alcolica, “polposition, polposition” – utilizzando la propria freschezza per passare dagli “occhi allegri da italiano in gita” alla smorfia dell’italiano sordiano, popolaresco e fracassone. C’è anche Nino Frassica in una piacevole caratterizzazione non macchiettistica, che solo attori di spessore sanno dare. Va segnalata la presenza pure del Vecchio de Il vecchio e il mare di Hemingway. Forse sì, una trovata un po’ artificiosa e cartolinesca, ma sempre suggestiva. Abbiamo bisogno di giocare con l’immaginario.

Se dobbiamo trovare dei difetti al film possiamo parlare soprattutto del finale, o meglio “dei finali”, tanti sono quelli con cui Veronesi chiude sempre i suoi film: consolatori, “mediani” alla Ligabue per non dire mediocri. Qui, Scicchitano finisce il suo romanzo, e non c’è nulla di male, ma lo fa sulla famosa spiaggia da sogno, sotto una piccola capanna di palme e con una posticcia barba alla Hemingway; inoltre, hanno aperto il famoso ristorante per turisti chic che guai se non possono connettersi e farsi un selfie per dire a tutto il mondo a loro conosciuto (quattro gatti) che stanno pranzando su una spiaggia da sogno, con l’immancabile foto del piatto di spaghetti. Da denuncia.

Ma se escludiamo questo grosso scivolone etico, qualche raccordo informativo di troppo e il solito triste pudore che già aveva condannato la celebre copula sulla sedia a rotelle tra Scamarcio e la Bellucci in Manuale d’amore 2 (2007) – annunciata come la più bollente mai vista, e invece poi non abbiao visto nulla – il film è straordinariamente piacevole, pieno di idee narrative anche nuove – pensiamo all’autolesionismo di Anzaldo o alla normalizzazine della rappresentazione di transessuali o famiglie allargate o atipiche, senza compendio moralistico di contorno – e soprattutto supportato da un cast fresco e coinvolgente come non si vedeva da Che ne sarà di noi (2004), per me il miglior Veronesi di sempre, forse perché, per me film generazionale, molto vicino alla mia sensibilità e che mi ha fatto scoprire Elio Germano.

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