Regia di Julia Ducournau vedi scheda film
Per farsi del male.
Narrano le cronache che la proiezione di Raw ad un festival abbia provocato svenimenti a catena per via delle sanguinolentissime scene di cui è pieno zeppo. Poveri stomaci deboli. Brani di carne staccati dai corpi, cannibalismo, budella mostrate a bella posta: è lecito chiedersi dove stia la novità rispetto al glorioso passato del body horror anni 70-80, ma non è certo questo il punto, dato che il cinema attuale è tutto una ripetizione e riproduzione, ora originale, ora bovina, di stilemi e topoi d'antan. Il primo vulnus è semmai che siamo di fronte ad un’opera che propone macelleria di bassa lega gabellandola per alta cucina, un film che si prende maledettamente sul serio pur grufolando nell'immondizia più laida. E’ prosciugato dell’autoironia, involontaria ma opportuna, di un Hostel (senza tirare in ballo Miike perché il paragone sarebbe umiliante per il maestro), ma non ha minimamente la raffinatezza di un Oculus o Drag Me To Hell o Autopsy, pur ostinandosi a voler apparire algido ed impeccabile. Tornando a bomba, i nostri stomaci deboli si sono impressionati tanto per il sangue, mentre davanti a loro si susseguivano le solite manifestazioni compiaciute di cretineria e perdizione giovanile, promiscuità sessuale, droga, alcol, il voyeurismo di riprendere tutto con il telefonino: l’eterno ritorno di Sodoma e Gomorra normalizzato e sdoganato a disposizione di un pubblico assuefatto che non si meraviglia più di nulla. Depravazioni varie ed eventuali felicemente riassunte nella canzone che la dolce protagonista ascolta in una scena del film: dal libertinismo spinto in pudica salsa nazifemminista (“sii tro*a ma con decoro”) alla necrofilia, dall’elogio della tossicopendenza alla misandria, dal satanismo alla pornografia, non manca proprio nulla, è davvero un raro coacervo. Raw è un manifesto colpevolmente autocompiaciuto della gioventù moderna e più in senso esteso dello sfacelo della modernità stessa, nascosti sotto il pretesto di un horror girato coi piedi.
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