Regia di Julia Ducournau vedi scheda film
Justine viene accompagnata dai suoi genitori alla facoltà di medicina veterinaria.
E' il suo primo giorno, è emozionata e sperava di incontrarci all'arrivo la sorella maggiore Alex, già studentessa della stessa facoltà da un anno. Alex si fa viva con la sorella solo durante una prima festa notturna a sorpresa, organizzata dagli studenti “anziani” per le matricole. L'iniziazione per le matricole è così cominciata con un delirante party in cui Justine incontra anche il suo compagno di camera Adrien.
Justine e la sua famiglia osservano da sempre un rigido regime alimentare vegetariano, proprio per questo motivo la ragazza si sente in grave disagio quando durante un rito di iniziazione le viene ordinato dagli studenti anziani di mangiare un pezzo di interiora animale. Rimane ancor più scioccata quando è la stessa sorella Alex ad imporglielo mangiando davanti a lei un pezzo di rene di coniglio crudo. Justine ingoia controvoglia il suo pezzo di interiora, la carne ingurgitata le fa scaturire una violenta allergia dovuta ad una intolleranza alimentare. Nello stesso momento però la ragazza inizia ad avere un incontrollato appetito e una insana voglia di mangiare carne. Prima solo carne cotta, poi cruda, poi addirittura quella umana, tanto da mangiarsi anche... ma qui mi cheto, perché rovinerei uno dei colpi di scena studiati ad arte da Julia Ducournau che scrive e dirige questo anomalo cannibal movie.
Purtroppo il problema di questo film è che è forse troppo incentrato sul “far colpo”, sul trovare la scena più schifosa e rivoltante, perdendo di vista quello che sarebbe dovuto essere il filo logico (o sensato) della storia.
Esiste infatti una prima parte: quella di Justine che rimane alienata dall'iniziazione da matricola, dalla sua difficoltà ad inserirsi in un mondo universitario al quale sembra non appartenere o comunque ad non interessarla. La parte iniziale punta molto sul farci conoscere la protagonista, mostrandocela nei vari momenti di disagio, di conoscenza, di riflessione su alcune questioni sociali. Penso quindi che il suo mutarsi in cannibale sia una metafora (ebbene sì una metafora) su come certe mutazioni di crescita possano stravolgere i buoni semi che se contaminati non danno più buoni frutti.
Invece no!
Nella seconda parte tutto ciò che era stato seminato (per continuare con il paragone botanico) viene calpestato più che contaminato. Subentra di prepotenza la figura della sorella Alex che diventa co-protagonista della storia in maniera pesante. Il cannibalismo sembra quindi essere una condizione “naturale” per le due sorelle, e le due ragazze si atteggiano più a vampire affamate che a mangiatrici compulsive. Essere cannibali per loro non è quindi un disagio da contenere ma un vizio al quale abbandonarsi, come una droga.
Per mantenere questa parte la regista (nonché appunto scrittrice) monta su tutta una serie di scene che via via diventano più dei video clip di dubbio gusto, in cui c'è più una ricerca di stile (nemmeno così originale) e voglia di stupire piuttosto che la voglia di raccontare. Le vicende delle due sbandate e maldestre (e pure antipaticucce) sorelle diventano solo un pretesto per creare scandalo in chi vede il film, ma nella sottoscritta hanno scaturito solo molta noia e alla fine veramente poco interesse, anche perché alcune soluzioni risultano scontate e un tantino banali, tanto che si vira tutto su un finale “spiegone” giusto per rimettere ordine in un (quasi) pasticcio narrativo.
Il cannibal movie è roba per palati forti (molto forti), soprattutto se si è arrivati a vedere il buon Umberto Lenzi e il grande Ruggero Deodato. Le scene splatter o di gran disgusto devono essere legate a scene altrettanto forti, a strutture portanti che non devono lasciare il tempo a riflessioni o ad altre cazzate psicologiche. Se si vuole utilizzare la tematica cannibal in maniera chic, allora pretendo che ci sia una storia altrettanto chic: ordinata, con un filo logico che mi conduca al finale senza mettere troppa carne sul fuoco (oddio...”carne sul fuoco”) per “vedere l'effetto che fa”, per poi aver paura di apparire troppo cruda e ritornare sui propri passi.
Posso essere sincera? L'ho trovato radical chic, troppo preoccupato ad apparire ben confezionato. Alla fine era necessario puntare sul cannibalismo? Justine sarebbe potuta essere benissimo una vampira, una drogata, un lupo mannaro, lo stato di cannibale non era quindi necessario al fine della storia, per questo forse il tutto appare poco incisivo, poco convincente e per nulla emozionante. Peccato, un'occasione persa.
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