Regia di John Milius vedi scheda film
La prima volta che l’ho visto, ho passato i 30’ iniziali a domandarmi “ma che stronzata sto guardando?”. Poi il film cresce come un’onda lunga (similitudine doverosa), lentamente ma in modo inarrestabile: c’è il Vietnam, c’è la sensazione che la vita sia passata oltre senza aspettarci (il reduce va a casa della ex e trova il marito che gli risponde “le dirò che sei passato”); ma c’è soprattutto il ritmo delle stagioni, la sottile malinconia del tempo che è passato e della giovinezza che è finita (“è veramente un fenomeno; ma lo siamo stati anche noi, vero?”, dice uno dei tre riguardo al nuovo idolo dei surfisti). Nessuno dei protagonisti (Jan-Michael Vincent, Gary Busey e William Katt) è diventato una star, e questo ha contribuito ad alimentare il mito: nella nostra immaginazione resteranno sempre così, tre ragazzi alle prese con i cavalloni dell’oceano. Milius non è, non sarà mai uno dei miei registi preferiti, e al film manca qualcosa (forse un po’ di compattezza narrativa) per essere giudicato un capolavoro; ma lo dico con rammarico, e questo è un riconoscimento.
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