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Toro

Regia di Martin Hawie vedi scheda film

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La recensione su Toro

di alan smithee
7 stelle

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Piotr è un giovane immigrato polacco con la passione per il pugilato, che vive da dieci anni in Germania e si arricchisce come gigolò per signore mature, insoddisfatte e benestanti.

Il suo nome di "battaglia" è Toro, in virtù delle eccellenti prestazioni che riesce a garantire al suo folto pubblico di clienti femminili.

Al piano sopra il suo appartamento, vive il suo miglior amico, un gay di nome Victor, tossicodipendente sudamericano che si prostituisce pure lui, ma con uomini. Tra i due, molto legati da un rapporto non chiaramente definito, non si sa bene se limitato semplicemente ad una sincera amicizia, o invece anche sfociante nella sfera sentimentale, rimane vivo e concreto il progetto di trasferirsi in Polonia non appena Piotr avrà accumulato la somma sufficiente.

Intanto Victor si mette nei guai, indebitato sino al collo con alcuni strozzini violenti a causa della sua dipendenza da droghe pesanti, ed il sopraggiungere della sorella di quest'ultimo non farà che complicare le cose.

Toro tuttavia incontra un giovane ragazzo di colore appassionato di box pure lui, e da quella amicizia si potrà creare una nuova inaspettata svolta dopo che tutto quanto risulterà precipitare nella tragedia più cupa, quella in cui l'amicizia tradita dal vizio finirà per trasformare radicalmente il nostro muscoloso e tenace protagonista, facendogli sfoderare il suo lato più animalesco e vendicativo da un recesso mai sondato del proprio animo.

Da Martin Hawie, regista tedesco classe 1975, al debutto nel lungometraggio, presentato per l'occasione alla Berlinale 2016 nella sezione "Perspektive", Toro è un resoconto teso e vitale di due vite semi clandestine che cercano, alternativamente, di uscire dal baratro per tornare vincitori da una parte, e invece dall'altra un nuovo baratro, quello della dipendenza totale da stupefacenti, per dimenticare o mettere da parte le frustrazioni e le difficoltà quotidiane apparentemente senza soluzione.

Fotografato in un bianco e nero stiloso che ben si presta a scolpire il fisico già di per sé muscolare del suo assai coinvolto protagonista (l'attore Paul Wollin), Toro scandaglia sui dubbi esistenziali e le incognite del carattere con cui nemmeno il protagonista riesce a scendere a patti direttamente con se stesso, con la propria coscienza combattuta e mortificata, celando una propria tendenza sessuale di fatto chiara e marcatamente indirizzata, attraverso l'ostentazione di una mascolinità da vendere all'altro sesso pagante in quanto inappagato, che possa in qualche modo metterlo al riparo da una crisi di coscienza ed un senso di colpa difficile altrimenti da governare.

In Toro coscienza e senso critico fanno a botte e poi soccombono con l'istinto animale che finisce per impadronirsi della situazione, stimolando a regolare definitivamente un conto in sospeso nel modo più definitivo e drammatico. A quel punto il rigore, lo sforzo di gestirsi un programma di vita che consenta un ritorno da vincente nella propria terra natia, si rivelano sforzi sopportati invano, sbriciolati dal tradimento a bruciapelo di una amicizia che pareva invece piuttosto una forma di amore puro ed incondizionato.

Bel ritmo, storia incandescente, vitale e concitata, e una manciata almeno di sequenze notevoli, come quella di Victor col viso immerso nell'acqua, o quella col protagonista Toro in chiesa, col rosario in mano, devotamente in preghiera, almeno fino a quando non viene superficialmente giudicato da un ministro della chiesa cieco e incompetente: un attimo folgorante nella ripresa e nei dialoghi, che ricorda molto l'impeto visivo di Abel Ferrara, per un film d'esordio assai valido, di un cineasta da tenere d'occhio.   

 

 

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