Regia di Julien Duvivier vedi scheda film
La casbah di Algeri, con le viuzze contorte e i passaggi sopra i tetti, è il regno e al tempo stesso la prigione di Pépé le Moko: lì dentro è il padrone assoluto, ma se prova a uscire la polizia lo aspetta al varco. Drammone popolare composto da ingredienti elementari, che oggi appare un po’ ingenuo; oltretutto lo spettatore italiano non può fare a meno di guardarlo attraverso il filtro parodico di Totò le Mokò. Gabin fa tutto quello che ci si aspetta da lui: conquista le donne, protegge un giovane amico (un surrogato di figlio), giustizia una spia, perde la testa per una bella signora (e soprattutto per la Parigi che lei rappresenta), infine si uccide per non finire in prigione. Tutto, tranne rubare: lo si può definire un criminale virtuale, dato che in realtà non lo vediamo mai in azione (solo in una delle prime scene sta trattando la vendita di una refurtiva con un ricettatore); le sue imprese appartengono già al mito, non più alla cronaca, e alimentano la sua grandezza superomistica. Il suo antagonista è l’esatto contrario: un poliziotto sornione, abituato ad agire nell’ombra, senza mai esporsi, con la tranquilla sicurezza che alla lunga sarà lui a vincere.
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