Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
La tentazione per un film come quello di Robert Zemeckis è di risolvere la faccenda prendendo in prestito la frase pronunciata da Marianne Beausejour, protagonista della storia insieme al collega e marito Max Vatan, ufficiale dei servizi segreti in missione nel Marocco del 1942 e, nella fattispecie, in quella Casablanca che almeno al cinema e per mano dell’omonimo film interpretato da Humphrey Bogart è diventato sinonimo di amori pericolosi e spericolati. Nella scena che li vede per la prima volta insieme e lontani da sguardi indiscreti la donna confessa che il segreto del suo successo consiste in una sola regola: “Io non mento sulle emozioni. E’ per questo che funziona” dice Marianne riferendosi al metodo che fin lì gli ha permesso di farla franca, preservandola dalle conseguenze meno piacevoli della sua “professione”. Il principio appena enunciato torna infatti utile per spiegare una delle caratteristiche principali del cinema di Zemekis che consiste appunto nel non perdere mai di vista il cuore delle sue “creature” e di farlo battere anche quando ci tratta di concepire un film come “Allied” che funziona soprattutto per la riuscita della sua messinscena. E’ infatti quest’ultima a dare una marcia in più a una trama che di per sé non ha nulla di originale e che però, essendo incentrata su due personaggi professionalmente abituati a farsi gioco delle apparenze risulta determinante nella produzione di senso quando si tratta di alimentare il tormento di Max, incaricato di scoprire se la donna diventata nel frattempo la madre di sua figlia sia davvero una spia al soldo dei nazisti.
Nel caso di “Allied” però non si tratta solo della precisione delle ricostruzioni scenografica relative al paesaggio nord africano in cui è ambientata la prima parte della vicenda, più dinamica e avventurosa, ne di quella del contesto inglese dove, con il trasferimento dell’azione nella capitale inglese, a prevalere sono gli aspetti psicologici e quelli di genere legati al mistery e al melò. Il nostro riferimento va alla natura stessa delle immagini che nel tradire “volutamente” l’effetto di verosimiglianza con l’evidente utilizzo della CG rimanda continuamente alla doppiezza dei personaggi, e perciò alla personalità e ai sentimenti che li riguardano; e ancora alla teatralità delle pose assunte dagli attori (e in particolare del Brad Pitt in divisa da ufficiale nell’ufficio del suo diretto superiore) volte a rievocare il modo di stare in scena tipico degli anni 40/50. Il resto lo fa la maestria del regista che non spreca un’inquadratura, tra gusto cinefilo (Hitchcock aleggia durante tutto il film) passaggi magistrali (la sequenza iniziale dal sapore metafisico e il bacio nella tempesta di sabbia) e primi piani evocativi (quello finale di Marion Cotillard). Bello con anima "Allied" è un titolo da non perdere.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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