Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Tff 34 – Festa Mobile.
Reduce da due opere molto apprezzate anche dalle nostri parti (Welcome e Tutti i nostri desideri), Philippe Lioret perde il pelo (Vincent Lindon) ma non il vizio (realizzare un film interessante).
Probabilmente, rispetto ai titoli sopracitati, Le fils de Jean è meno continuo nel regalare forti emozioni e gran pezzi di cinema, ma offre comunque degli spezzoni fondamentali che lo rendono, seppur nel suo piccolo, indimenticabile.
Parigi, Mathieu (Pierre Deladonchamps) scopre che il suo padre mai conosciuto è morto e decide di partire per il Canada per partecipare al suo funerale e conoscere così i suoi due fratellastri.
All’arrivo, incontra Pierre (Gabriel Arcand), da sempre amico di suo padre, che lo mette in guardia su come muoversi. Infatti, la sua presenza non sarebbe gradita, ma Mathieu, seppur senza manifestare la sua identità, si guarda attorno ambientandosi rapidamente, soprattutto all’interno della famiglia di Pierre.
Identità, senso di appartenenza e legami, accompagnati da un globale gusto della conoscenza, sono i principali confini che delimitano gli spazi di movimento di Le fils de Jean.
Philippe Lioret lavora sottotraccia, piazza subito il colpo da cui nasce ogni successiva diramazione, per poi lavorare ai fianchi, nel nome di un assetto con le idee chiare, inserendo frammenti, partendo da un lutto che apre a nuove inattese strade, la possibilità di riaprire un cassetto chiuso da tempo, un’alba di felicità che non è detto sia durevole, cadendo in un momento (a ogni modo) delicato.
Momenti, attimi e percorsi la cui caratteristica principale risiede negli sguardi che non possono essere biunivoci (e completi), in quanto c’è sempre una delle parti in scena all’oscuro di qualcosa di fondamentale, in grado di modificare la natura dei legami stessi.
Nel mezzo di questa storia umana, si susseguono azioni e reazioni e un carico di malattie, per culminare con un coup de theatre che fa tutta la differenza del mondo, permettendo di sviluppare un finale emotivamente folgorante, un (vero) incontro a due passi dall’addio o dall’arrivederci; tocca quindi allo spettatore elaborare e immaginare un futuro per questi personaggi, prima, dopo e durante un tragitto in macchina con occhi in grado di parlare da soli, tutto all’insegna di una finezza straordinaria. E negli sguardi, Pierre Deladonchamps e Gabriel Arcand si rimbalzano le responsabilità principali, con un duetto che si deposita fino a tracciare un solco profondo.
È così che Le fils de Jean si costruisce meticolosamente senza (voler) essere per forza sempre attrattivo, svelandosi un passo dopo l’altro per poi annientare ogni difesa immunitaria in fatto di emozioni, addentrandosi con accortezza direttamente nella parte più recondita del cuore.
Per lo più ordinato, ma con uno slancio decisivo che risulta devastante (sarebbe interessante rivederlo con la conoscenza di poi, un po' come, e diversamente da, Il sesto senso).
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