Regia di Lav Diaz vedi scheda film
Definire A lullaby to the sorrowful mystery un'esperienza totalizzante è ancora dir poco. Otto lunghe ore lavorative che si trasformano in un'esperienza di vita in grado di scuotere lo spettatore (non eravamo in molti, una ventina direi) a restare tutto questo tempo legato ad una storia per noi europei geograficamente davvero estranea, ma forte di tratti ed essenze peculiari che ci fanno tornare alla mente la nostra e molte altre lotte per la rivalsa della libertà e della democrazia.
Al 34° TFF l'ennesimo film-monstre per durata del celebrato e premiato, oltre che prolifico, cineasta filippino Lav Diaz, viene inizialmente proiettato tutto di filato come alla Berlin ale 2016 ove si portò a casa l'Orso d'Argento alla regia; seguirà un'altra proiezione suddivisa in "puntate".
Ma quello che cercavo di ritrovare, dopo l'esperienza quasi estatica di Locarno, era un nuovo contatto totalizzante con l'autore, diretto, completo e tutto d'un fiato.
Qui, a differenza che nel film del Pardo d'oro a Locarno 2014, l'estasi per la verità lascia più che altro lo spazio all'impegno storico e soprattutto politico, essendo il film un lungo documento in cui l'autore vuole ufficializzare una lotta per l'indipendenza di un paese che è ancora troppo dimenticato e isolato dalle attenzioni mondiali riservate ad altri popoli più in grado di balzare alle cronache.
La vicenda si apre con l'esecuzione a morte, ripresa di spalle inquadrando i volti disperati della popolazione, di Andres Bonifacio, leader degli attivisti a capo della resistenza tagalog avversa alla dominazione spagnola.
Siamo nel 1897, e mentre la casta militare spagnola ed il malizioso e ferino clero si crogiolano su questa simbolica vittoria nei confronti dei rivoltosi e celebrano l'avvenimento divertendosi con i primi esperimenti cinematografici dei fratelli Lumière, la donna del "bandito", Gregorio de Jesus, non vedendosi nemmeno restituito il corpo del consorte, parte per le montagne, nella foresta, accompagnata da due amiche ed un fedele sostenitore per tentare di recuperare il corpo dell'amato.
Un viaggio spossatezza che minaccia le già compromesse condizioni fisiche e psicologiche della donna, seguita per l'occasione da una sorta di estroso cerbero (lo interpreta un attore filippino tra i piu' noti in patria, Bernardo Bernardo, presente in sala a presentare la pellicola) che la accompagna entro una foresta tentacolare ed impenetrabile.
Sopraffatta dalla malattia e dalla fetale notizia di un tradimento clamoroso ordito dalla sua ancella Cesaria, la donna si arrendera' nelle ricerche trovando conforto nella forza del perdono.
Contemporaneamente seguiamo il calvario, anche questo in piena giungla, sofferto da un altro celebre rivoltosi, Simoun Cristoforo Ibarra, ferito gravemente da un oppositore dell'indipendenza che, dopo avergli sparato, conduce l'uomo lungo un viaggio dantesco oltre il quale si abbandonano i vecchi insanabili contrasti civico-politici per ritrovarsi esseri umani in balia di una natura che non concede sconti a nessuna delle due parti contendenti.
Se da un lato A lullaby vuol essere una presa di coscienza di un movimento indipendentista mosso da impellenti necessità di libertà e democrazia contro lo strapotere dell'invasione, lo splendido film ricordo di Lav Diaz è anche e soprattutto un film sul perdono, sulla potenza di questo sentimento troppo poco comune e praticato.
Vissuto come è realmente il film lungo le sue otto ore di durata, esso diventa un percorso esistenziale in grado di elevare e sublimare verso pensieri più nobili che sopraggiungono dopo l'orrore di una contesa che ha segnato solo morte e distruzione.
Diaz ci immerge per tre 3/4 di pellicola entro le insidie e gli intrichi di una giungla che diventa un percorso di vita metaforico ma pure reale.
Solita meravigliosa fotografia in bianco e nero che esalta i contorni e le sfumature, riprese fisse in cui i protagonisti si muovono all'interno di cornici naturali sontuose o scorci cittadini quasi sempre notturni in cui prevale l'elemento dell'acqua.
Un film che scorre più veloce del tempo necessario per visionarlo tutto, ed un viaggio necessario per immergersi ancora una volta nella spirale emotiva di un grande cineasta impegnato nei confronti del suo paese troppo dimenticato e fuori dalle cronache e dagli interessi del mondo che conta.
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