Regia di Ang Lee vedi scheda film
Il Panem et Circenses dell'ultimo Ang Lee è quello che riproduce nel classico agone di una fossa dei leoni dello sport nazionale di maggior richiamo, la convergenza delle tematiche più care al cinema liberal antimilitarista insieme a quelle altrettanto sfruttate delle sirene e delle edulcorazioni del quinto potere. Scontata fureria hollywoodiana.
Eroe per caso dopo essere stato filmato durante l'azione di salvataggio di un commilitone caduto in battaglia, il giovane Billy Lynn rientra dall'Iraq per un tour celebrativo che porterà il suo squadrone in giro per il paese. La partita dell'NFL alla quale dovrà presenziare nel suo ultimo giorno prima della partenza per il fronte, sarà l'occasione per confrontarsi con alcune questioni familiari lasciate in sospeso e per trarre il faticoso bilancio di un'esperienza dolorosa e contraddittoria.
La retorica delle contraddizioni di un circo mediatico in cerca di business e consenso elettorale sulla pelle di una generazione mandata allo sbaraglio nell'Iraq della seconda guerra (santa) all'infedele Saddam, è il ghiotto pretesto per il cinema mainstream di un Taiwanese che ha capito benissimo come funziona dalle parti di Hollywood, con una facile contaminazione tra le velleità didascaliche del cinema impegnato ed una riflessione a tutto campo sulla dialettica tra la drammatica realtà della guerra e la sua rappresentazione ad uso e consumo della masse. Il Panem et Circenses dell'ultimo Ang Lee, tratto dal best seller di Ben Fountain, è quello che riproduce nel classico agone di una fossa dei leoni dello sport nazionale di maggior richiamo, la convergenza delle tematiche più care al cinema liberal antimilitarista insieme a quelle altrettanto sfruttate delle sirene e delle edulcorazioni del quinto potere. Soggetto facile facile che Lee incentra sulla figura interpretata da un giovane esordiente che, come il suo personaggio, ha parecchie consonanti nel nome e lo sguardo da bamboccione di bell'aspetto del South West alla Zac Efron (The Lucky One), facendosi aiutare dalla coralità altmaniana del racconto e da una struttura a flashback che triplica le linee della narrazione (fronte, casa, stadio) come altrettante trincee di uno scontro esiziale contro nemici che sembrano assediarlo da tutte le parti: dall'ostracismo paterno agli orrori della guerra, dalle lusinghe dello showbiz alle moine delle cheerleaders, dai sensi di colpa verso la sorella al (senso di corpo) cameratismo verso i commilitoni. La vera battaglia però è quella che sembra combattersi tra una sceneggiatura di scontata fureria hollywoodiana ed una messa in scena che traduca la corrosiva ironia del racconto nella metafora non banale delle spietate contraddizioni della società americana, tra alimentari vocazioni militariste e la cinica monetizzazione di una ecatombe generazionale. Battaglia persa, ad avviso di chi scrive, per un registro che si assesta sulla monotonia di un dramma personale senza mordente, sul tracciato asistolico di un ritmo che disperde molte energie nella frammentazione del montaggio e sulla antispettacolarità delle soluzioni visive (non ostante il profluivo di 3D, 4K, 120fps), appena riscattate dalle drammatiche sequenze dell'episodio bellico ("E la 50? Da qualche parte ho letto che ha fatto tutte le guerre dagli anni '20; com'è quella?" - "Se prendi uno con la calibro 50 lo vaporizzi; diventa...una nebbiolina rosa") che viene rivisto da più punti di vista diversi durante tutto l'arco del film. Insomma pochi sussulti di sano sarcasmo yankee dispersi nel mare della retorica antisistema e della solita drammaturgia del patetico non riscattano il film indeciso tra patemi familiari e pietismi nazionali che l'autore finisce inevitabilmente per mettere in campo. Per dire Vin Diesel, non ostante le poche scene recitate, è quello col personaggio che convince di più. Presentato al New York Film Festival 2016, viene piazzato al 10 posto tra i migliori film del 2017 dai Cahiers du Cinéma. Mah!
Sgozzalo Billy, sgozzalo ancora....
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