Regia di Terence Davies vedi scheda film
Emily Dickinson scriveva tante lettere, con le sue poesie furono il suo modo di comunicare col mondo, e con una poesia in forma di lettera ha chiesto al mondo dopo di lei di giudicarla “teneramente”.
“ Questa è la mia lettera al mondo
che non scrisse mai a me –
semplici notizie che la natura raccontò –
con tenera maestà
il suo messaggio è affidato
a mani che non posso vedere –
per amor suo – dolci compatrioti –
giudicate teneramente – me”
Quelle che non potè vedere sono le nostre mani, quelle di Terence Davies e quelle di generazioni di uomini e donne che l’hanno conosciuta e amata dopo la sua morte, da più di un secolo.
Emily Dickinson scriveva tante lettere, con le sue poesie furono il suo modo di comunicare col mondo, e con una poesia in forma di lettera ha chiesto al mondo dopo di lei di giudicarla “teneramente”.
Parlare per immagini di una poetessa si può se le parole le aggiunge lei, ed è quello che Davies sceglie di fare tessendo intorno ai suoi versi un ritratto sobrio, di forme eleganti e luci discrete.
I poeti non accendono che lumi, diceva Emily, e un film che parli di lei può essere un lume per noi.
Forse è inopportuno parlare di biopic, come contenere in un racconto una storia incontenibile?
Bisognerebbe parlare della sua casa nel verde del Massachussets mentre fuori infuriò per anni la guerra civile, della sua stanza da cui si mosse solo per incursioni in cucina, ai fornelli, una delle sue poche passioni, di una famiglia affettuosa che le volle bene e non la capì, di un amore che non ebbe mai seguito, come una di quelle lettere che si perdono chissà dove, di una madre che aveva tutto ma piangeva infelice e di lei che non aveva niente ma abbracciava il mondo e la vita come il più meraviglioso dei doni.
Le biografie di Emily Dickinson sono un ossimoro, un girare intorno ad una stanza senza porte e finestre.
Solo far sentire da quella distanza la sua voce ha un senso, quella è la sua biografia.
Dobbiamo aprire la porta dietro la quale si nascose, il mondo intorno era troppo piccolo e lei aveva bisogno dell’Universo intero.
Dunque raccontare per immagini può farlo un pittore, ma può anche il cinema, a patto di scegliere in dosaggio giusto colori, suoni e atmosfere.
E soprattutto ritmo.
Il montaggio che Davies ama è quello che osserva lentamente le cose, “il montaggio veloce è come il fast food, non dà nutrimento- dice il regista- I miei film a qualcuno non piacciono perché sono lenti, ma danno il tempo di vedere quelle piccole cose che diventano interessanti proprio per la loro lentezza.”
La vita di Emily non conobbe accelerazioni, non fu una fuga dal mondo ma un’accettazione, forse stoica, certo mai tragica, della sua diversità.
Non priva di sofferenza, intendiamoci, la solitudine, soprattutto quella affettiva, la mancanza di un amore (ma quale uomo avrebbe mai potuto essere degno di lei?), veder sparire le persone intorno che rappresentavano i pilastri del suo stare al mondo, tutto le creava un dolore indicibile e certo l’ha portata alla morte abbastanza presto.
Il corpo ha il suo linguaggio e trasforma in malattia le nostre tristezze.
Ma la natura, non Dio che lei non riconobbe mai, fu generosa con lei e le donò la poesia, una mente fertile, uno spirito ironico, una capacità di amare che superò i confini della vita.
E oggi la vediamo rinascere per noi nelle forme aggraziate di Cynthia Nixon, donna di superba capacità di comunicazione col pubblico.
Davies sceglie con raffinata intelligenza i suoi attori, assegna loro il compito arduo di caratterizzare i suoi personaggi con naturalezza, circonda Emily di un milieu secondo ottocento molto credibile, pensiamo ai film di Ivory o anche a Scorsese, ma di diverso c’è l’unicità del polo di attrazione, il focus che punta solo su lei e da lei dirama la filigrana sottile della trama di una vita solitaria votata alla poesia.
Una parola muore
quando è detta
Dice qualcuno
Io dico che proprio
Quel giorno
Comincia a vivere.
E così è accaduto.
Emily ha detto le parole, da quel momento esse sono diventate vive e hanno parlato dell’amore
Se tu dovessi venire in autunno
mi leverei di torno l’estate
con un gesto stizzito e un sorrisetto,
come fa la massaia con la mosca…
della natura
C’è un altro cielo…
C’è un altro cielo,
Sempre bello e sereno,
E là il sole ha una diversa luce,
Per quanto possa essere buio;
Lascia che i boschi si secchino, Austin,
Lascia che i campi tacciano –
Qui c’è un piccolo bosco,
E le sue foglie sono sempre verdi;
Qui c’è un giardino più luminoso,
Dove non c’è mai la brina;
Nei suoi fiori sempre freschi
Io sento chiaro il ronzio dell’ape:
Ti prego, fratello caro,
Vieni nel mio giardino!
dei libri e della poesia
Non esiste un vascello veloce come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che si impenna –
questa traversata
può farla anche il povero
senza oppressione di pedaggio
tanto è frugale
il carro dell’anima.
Davies non ci consegna un’icona, forse per uno strano processo di immedesimazione o forse per qualche particolare e felice congiuntura di doti artistiche, costruisce un personaggio fatto di carne, ossa e sangue, una donna autentica in un mondo che venne sempre dopo di lei, capace di capire che c’è uno sguardo che deve andare oltre per “non inciampare nelle proprie speranze e trovarsi in un mucchio di vasellame a pezzi”.
Emily capì il suo tempo e seppe farne l’uso che era necessario farne, scelse la poesia, o forse la poesia scelse lei.
Come la morte, una silenziosa passione…
“Poichè non potevo fermarmi per la morte, lei gentilmente si fermò per me”
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