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American Honey

Regia di Andrea Arnold vedi scheda film

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La recensione su American Honey

di alan smithee
6 stelle

Ragazza madre abbandona figli e compagno violento e scostante per unirsi ad una carovana di sbandati venditori di abbonamenti a riviste. Il volto dell'America che prova a riscattarsi e viene inghiottito nelle maglie di una società indolente delle false promesse. Buoni presupposti e validi personaggi per un film troppo lungo e non del tutto riuscito

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Trasferta americana per la talentuosa regista inglese Andrea Arnold, che si trasferisce nelle aperte periferie degli States per seguire un gruppo di venditori poco più che maggiorenni, riuniti in una carovana dopo essere, più o meno tutti, scappati di casa, ed ingaggiati a cottimo per vendere abbonamenti a riviste ed altre inutili facezie, per arricchire una catena piramidale di intrallazzatori che si assicura l'esistenza poggiandosi sui più poveri e disperati, su chi non ha titoli di studio, professionalità, specializzazioni, ma solo il proprio corpo giovane e la propria spesso incauta imprdenza ed inettitudine. Madre di due bambini avuti da adolescente, la bella Star. vive di stenti rovistando tra i rifiuti, assieme ad un compagno strafatto spesso violento e sgradevole. Fuggita dall'uomo di nascosto, abbandona i due bambini alla madre durante una festa country e raggiunge il gruppo d ragazzi incontrati per caso in un centro commerciale, infatuata del più brillante tra di essi (Shia LaBeouf). I meccanismi di vendita dell'ingannevole mercanzia proposta, gli ingranaggi disonesti che attraggono giovani come i monelli verso Mangiafuoco ed il Paese dei Balocchi, vengono presto chiariti, così come gli incentivi o i sistemi punitivi con cui vengono presi provvedimenti nei confronti del vendtore più improduttivo della settimana.

Il sogno americano del farsi da sé viene pertanto definitivamente demolito da un sistema qui portato all'eccesso, esasperato, contrapposto alla liberta teorica degli spazi aperti tutti a stelle e strisce. Wuesti meccanismi non sono altro, tecnicamente ed in via di principio, che qualcosa di non molto differente dagli apparentemente ghiotti incentivi che vengono posti davanti al venditore tipo di oggi, quello che deve produrre per la piramide economica vampira che lo sovrasta, applicando il mai logoro infausto sistema della carota dinanzi all'asino per indurlo a muoversi più celermente.

Peccato che la Arnold, altrove sempre bravissima, calibrata, mai verbosa ed interessante, se non proprio originale, svilisca molto questo ottimo e sempre attuale spunto di critica di una società impostata solo sulla vendita, spesso ingannevole, e sulla produttività esasperata e fine a se stessa, attorno ad una casistica di situazioni un po' troppo diluite e ripetute: ne esce fuori un ritratto certo allarmante di una gioventù vuota e senza qualità, che si crede libera solo per il fatto di non avere più  dinanzi la presenza castrante dei genitori, sostituiti da organizzazioni truffaldine che usano e gettano le proprie pedine senza scrupolo alcuno. Un ritratto di un'America senza carattere e senza qualità di fatto interessante, ma a conti fatti un po' perso in questo contesto a sprecarsi in situazioni ripetute e riproposte con troppa insistenza. Meglio allora lo scandaglio più lucido della medesima età (forse leggermente più giovane n effetti) fatta da Gus Van Sant nel suo Elephant e non solo. Più asciutta, più efficace e meno prolissa di questa. Tra gli attori coinvolti l'unico famoso risulta essere Shia LaBeouf, sguardo da folle, di chi non si riesce a capire se reciti o stia rappresentando ciò che è veramente, e per questo a mio avviso un gran bravo attore istintivo e imprevedibile, addentro al suo personaggio “perduto”, corrotto e corruttore a sua volta, vittima e portavoce di un sistema vizioso e perverso dove molti scendono in campo sino ad umiliarsi, e pochi guadagnano veramente.

La protagonista, Sasha Lane, interessante ed espressivo volto esordiente forte di una bellezza plausibile e di uno sguardo malinconico che sembra chiedere scusa quando si apre al sorriso, ha lo sguardo doloroso ed afflitto convincente ed il suo ruolo, forse meglio circoscritto, sarebbe stato ancora più potente e convincente di quanto ci appare effettivamente. Per la Arnold, cineasta tosta e sempre sul pezzo, questa prova si presenta come un film più riuscito nelle intenzioni che nei fatti: meno bello di ogni suo altro in precedenza, ma un lavoro che riesce comunque e nonostante a farsi ricordare, anche a costo di qualche situazione al limite del retorico, qualche animale di troppo, vagante in libertà, e una buona mezz'ora che sarebbe stato meglio riuscire a sforbiciare, guadagnando in ritmo e tensione narrativa.

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