Regia di David Michôd vedi scheda film
Volutamente grottesco, involontariamente discontinuo, ma significativo.
War Machine è un film grottesco, sopra le righe, e a mio parere molto utile. A un certo punto la voce fuori campo (il giornalista di Rolling Stone) dice: “Le guerre non le fanno le nazioni e gli eserciti, ma gli uomini”. Interpretata alla John Wayne, la frase suonerebbe come una sparata da Veri Eroi ma se presa letteralmente, nel senso che intende dargli la pellicola, sintetizza benissimo l’operazione voluta da David Michod e appoggiata dall’ottima recitazione di Brad Pitt. Si poteva solo aggiungere “gli uomini, ma soprattutto quelli che decidono”. Perché in realtà nel film i colpi di fucile sono pochissimi e il tema sotto esame è tutto un altro: CHI è in grado di gestire una guerra? Risposta: nessuno.
In War Machine ho visto una critica davvero spietata all’intero apparato politico e militare americano, e ancora prima alla sua filosofia. Che di per sé, se applicata solo al proprio popolo, magari è giusta e funziona, ma non può essere esportata. Invece gli americani pensano sempre con la mentalità coloniale da 16mo secolo: andiamo a civilizzare i primitivi. Essi ritengono che i concetti di democrazia, rappresentatività, usi&abitudini siano autoesplicativi e debbano necessariamente affermarsi in quanto “giusti”. Sappiamo tutti che non è così, e il film lo mostra usando un gran numero di episodi esemplificativi, dove l’ottimismo USA denuncia tutti i propri, enormi limiti. A mio parere non è un film “troppo incentrato su Brad Pitt”: la sua incombente presenza è solo un simbolo e serve a spiegare i meccanismi della catena di comando, dal presidente Obama all’ultimo marine. E serve anche a mostrare l’incomunicabilità strutturale tra americani e afghani ed europei, con i primi che pensano sempre ciò sia colpa degli altri.
In larga parte si tratta di una pellicola metaforica, iperbolica, che non va presa alla lettera più di quanto non si debba fare – a esempio – con l’ottimo District 9, un altro film sulla burocrazia e la stupidità, che per illustrarle usa gli alieni; qui si usano i soldati, ma il messaggio è lo stesso.
Dicevo che Pitt offre un’interpretazione magistrale, con grande cura per l’espressività corporea (il suo modo di correre sintetizza meravigliosamente la mentalità del personaggio che interpreta). Può, un generale a 4 stelle, apparire così stupido? Può, se è fuori dal proprio contesto di riferimento. Pitt riesce nell’impresa impossibile di risultare persino brutto, goffo e impacciato: grande prova d’attore. Accanto a lui ho rivisto con piacere la (ex) deliziosa Meg Tilly, splendida ragazza problematica ne Il grande freddo, a lungo sparita dai radar e qui restituitaci con la medesima leggerezza di sguardo ma – ahimé! – con una ventina di kili in più. Una doverosa menzione va al “ruolo” di Russell Crowe, in chiusura; in 10 secondi, senza dire una parola ma soltanto col passo e lo sguardo, chiude il teorema del film: non cambierà mai niente.
Quante morti e quanti soldi dovranno ancora essere spesi, prima che ve ne accorgiate?
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