Regia di Morten Tyldum vedi scheda film
"Due cuori e un'astronave" in una sorta di Eden galattico che rischia di divenire Inferno dopo la scoperta di una verità terribile da accettare e per il cosmo spaziale che incombe con le sue incognite.
Dopo un bombardamento mediatico con posters e trailers (che nemmeno una campagna elettorale) durato diversi mesi e che, lo ammetto, ha innescato in me una certa curiosità, finalmente è giunto il momento di visionare Passengers, film sottratto (un paio d'anni fa) dal "limbo" della Development hell dalla Sony Pictures Entertainment e "scampato" alla regia di Gabriele Muccino per venire invece diretto da quel Morten Tyldum che ha conquistato il grande pubblico grazie a The Imitation Game.
Passengers è fantascienza pura ma unisce all'avventura dell'ignoto (e allo smisurato fascino sprigionato dai paesaggi spaziali) passione e sentimento. Tutto si svolge all'interno dell'astronave completamente automatizzata Avalon durante un viaggio intergalattico della durata di oltre un secolo verso Homestead, un pianeta fertile e accogliente che attende nuovi coloni (in "fuga" da una terra sovrappopolata) ricco di promesse. I passeggeri (oltre cinquemila) sono in stato di sonno criogenico e il risveglio (loro e dell'equipaggio) è programmato soltanto a pochi mesi dalla meta. Quando mancano ancora novant'anni all'atterraggio su Homestead, si verifica una collisione con detriti stellari che innesca alcune anomalie, tra cui il risveglio di Jim Preston (CHRIS PRATT). Resosi conto di essere l'unico desto all'interno dell'Avalon, Jim cerca di adattarsi alla solitudine (unica voce amica è quella di un cyborg-barman) sfruttando tutte le risorse e i comfort dei quali l'astronave è dotata, ma quando, al limite dell'instabilità psichica (dopo oltre un anno), s'imbatte nella capsula d'ibernazione di Aurora Lane (JENNIFER LAWRENCE) e rimane conquistato dalla sua bellezza, inizia a desiderare compagnia. Nel frattempo le progressive avarie della nave spaziale mettono in pericolo la stabilità del sistema.
Il film alterna il suo essere avvincente con fasi di leggerezza, romanticismo e azione, claustrofobica prigionia e vastità del cosmo. Pratt non mi ha convinto del tutto nella rappresentazione del dramma della solitudine in un ruolo che necessita di maggiore espressività e un pizzico di follia in più. Ad ampliare la percezione di questa modestia interpretativa ci pensano le numerose scene (dialoghi-personaggi-ambienti-situazioni) per le quali la sceneggiatura attinge il "pennino" nell'autorevolissimo "calamaio" di Shining. Il barman-automa scimmiotta Lloyd nel modo di porsi e nell'instaurare complicità con l'unico avventore ("sarà il nostro piccolo segreto") e la sala da cocktail (no, non mi è certo sfuggito) ha una moquette che ricalca con precisione quella ad esagoni dei corridoi dell'Overlook Hotel kubrickiano. Il paragone Pratt-Nicholson sarebbe ingeneroso e non me la sento di spargere "sangue". Tuttavia il protagonista, che avevo apprezzato in Jurassic World, si riscatta nella seconda parte del film, quando il dialogo si antepone all'espressività.
Jennifer Lawrence non la scopriamo certo oggi come attrice eclettica e capace di rifulgere come le stelle che sfilano ai lati dell'Avalon. Passa da sobrietà, rabbia, gioia, eroismo con apprezzabile abilità e non credo serva aggiungere altro.
La scelta di dare nome Aurora al suo personaggio (la bella addormentata disneyana) mette in luce una certa ironia della produzione e la voglia, in fondo, di intrattenere oltreché emozionare cosa amplificata dalla presenza di un discreto Laurence Fishborne (che ai tempi fu proprio Morfeus -casualità?-) nei panni di un ufficiale. Ultimo ma non meno importante poiché vero elemento di disturbo in questo apparente Eden spaziale è Arthur (Michael Sheen), il barman che raccoglie le confidenze dei passeggeri lucidando calici e tambler senza possedere i "filtri" necessari alla gestione delle informazioni private (nulla a bordo è pensante come un Hal-9000 per intenderci).
Come spesso accade, la fantascienza deve poggiare su solide basi per mantenere una credibilità in grado di mutarsi in empatia (questo non sempre avviene nel film), regola non necessaria invece in amore dove com'è noto vale tutto e il suo contrario. Solitudine, passione, cuore spezzato, bugie e rabbia coinvolgono piacevolmente e le due ore passano senza sbadigli. I messaggi di questo film sono molteplici. Si passa da è possibile "due cuori e una capanna... pardon, un'astronave?" (data la bellezza dei protagonisti sembrerebbe ovvia la risposta ma...) a riflessioni proustiane e leopardiane sull'importanza del "viaggio" anteposto alla meta. Senza troppo peso però.
Sul regista: bravo a trasmettere la sensazione di smisurata grandezza dell'astronave Avalon e (per contro) quanto essa sia insignificante se paragonata all'infinito cosmo. Magistrali la gestione degli interni e alcune sequenze in spazio aperto.
Davvero un buon lavoro, nonostante il "tentativo" di rovinarne l'essenza con eccessi di spettacolarità (ne è un esempio il finale) e un'ossessiva ricerca di depistare (proprio sul finale) lo spettatore. Non sono questi i film che aspettavo dal 2017 ma (travolto da selvaggia propaganda) ci sono cascato ed è stata una piacevole caduta. Io lo consiglio.
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