Regia di Charlie McDowell vedi scheda film
I figli che giocano a impersonare i semi-déi in casa di dio padre.
Quasi alla fine della fiera: “Ho pensato molto alla differenza tra ciò che una cosa è e ciò che una cosa significa. E io non so cosa sia tutto questo, ma penso che se esista un qualche significato abbia a che fare col non premere il bottone di riavvio, anche se le cose si fanno veramente difficili.”
Prodotto da Alex Orlovsky e James D. Stern, presentato al SunDance e distribuito da NetFlix, “the Discovery”, il secondo lavoro di Charlie McDowell, ancor più che il suo precedente film d'esordio, “the One I Love”, che come opera prima era strutturata benissimo e pienamente “adulta” (girata a 30 anni passati), si rivela essere - come troppo spesso mi accade di notare, ultimamente - un aggregato e un riciclo (ma riciclo ha anche un'accezione positiva) di tòpoi, luoghi comuni, modelli, stereotipi, figure retoriche e clichée della contemporanea SF soft-hard romantico-speculativa [lo strano oggetto quantistico post-2001 ch'è il “BrainStorm” di Douglas Trumbull, l'indigeribile e prim'ancora inassumibile Near Death Experience (oggigiorno facilmente raggiungibile gratuitamente scorrendo e sfogliando la time-line dell'account Twitter del felpato pavido cacantes'in mano truzzotamarro capitone attrippato) del Joel Schumacher di “FlatLiners”, le quasi 5 ore del “Bis ans Ende der Welt - Until the End of the World - Fino alla Fine del Mondo” di Wim Wenders, l'altro da sé ricreato dal sé in “Eternal SunShine of the SpotLess Mind” di Kaufman & Gondry, la via di fuga alternativa partorita dal sacello del “Source Code” di - un altro figlio d'arte di cotanto padre - Duncan Jones, etc...], ma è diretto, scritto (dal regista col sodale Justin Lader), interpretato
-[un Jason Segel che regge egregiamente il colpo d'essere trasportato fuori dall'universo di Judd Apatow, una Rooney Mara - “the Girl with the Dragon Tattoo”, “Ain't Them Bodies Saints”, “Side Effects”, “Her”, “Carol”, “A Ghost Story”, “Song to Song”) che rooneymareggia ch'è un piacere, un Robert Redford marshmellow-granitico - anche se il suo character twist è gestito male e "risolto" sbrigativamente - in stile “Lions for Lambs”, “the Company You Keep”, “All Is Lost” e “the Old Man and the Gun”, un drugheggiantemente splendido Jesse Plemons ("the Master", "Breaking Bad", "Olive Kitteridge", "Fargo - 2", "Black Mirror - USS Callister"), una Riley Keough che esce indenne dal ruolo più telefonato, un imperdibile Ron Canada protesicamente ipertimesico e un cameo iniziale per Mary Steenburgen, madre del regista]-,
fotografato (Sturla Brandth Grøvlen: “Victoria”, “Rams”, “Shelley”, “Wendy”, “Shirley”) e musicato (Danny Bensi e Saunder Jurriaans sfornano come al solito una partitura aderentemente funzionale al testo d'immagini) bene (discreto il montaggio di Jennifer Lilly), e riesce a distanziarsi, o, meglio, a non convergere verso la deriva nullo-sapiente e niente-valente di Drake Doremus & Mike Cahill, e anche il paragone con la mefitica ("Sound of My Voice" e "the East") & malefica (“the OA”) coppia Marling/Batmanglij è azzardato e ingiusto nei confronti del nostro: se occorre fare un nome, spenderei proprio quello del già citato per interposta opera cinematografica Daniel Lowery.
Non ci si aspetti, dunque, una Hard-SF coi contro-attibuti (Shane Carruth e Greg Egan) e nemmeno una SF speculativa alla massima potenza (Charlie Kaufman e Ted Chiang), tanto che la meccanica della procedura - contraddicendosi rispetto alla tag-line che così recita: “Le prove non dovrebbero essere schiaccianti, ma definitive.” - è così risolta:
- Your machine was able to capture brain wavelengths on a subatomic level, leaving the body after death.
- Is that...?
- That's correct.
- Where do those wavelengths go?
- My point is: a new plane of existence is out there.
- Yes, that is no longer in dispute. But you can't tell us
what that is exactly.
- When you see a train leave the station... do you need to know where it's going to understand that you saw it leave?
Ma nemmeno mi sento di affermare che tutto il costrutto (molto riuscita - perturbante?! - la sezione dedicata alla registrazione degli onirici desiderata multiversali post-mortem) sia solo una presa per il culo organizzata assemblando cascami, rigaglie e lacerti raccolti sul pavimento delle sale di montaggio dei film e degli autori sopracitati.
«"Fede". Oh, Dio... Provo un tale disprezzo per quella parola... Mostratemi qualcuno che si affida alla fede [fiducia], e vi mostrerò qualcuno che ha rinunciato al controllo su qualsiasi cosa in cui creda.»
I figli, ladri di cadaveri, che giocano a impersonare i semi-déi in casa di dio padre, cadavere potenziale.
Dio Santissimo, voglio dare fiducia (in attesa di “On BeComing a God in Central Florida" e "Gilded Rage") a Charlie McDowell... [Penitenziagite!]
* * * ¼ (½)
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